Un libro molto atipico e che, in quanto tale, richiede coraggio da parte dell'editore. Ma, del resto, I Sognatori non ha mai professato intenti programmatici commerciali e perciò questo Ipotesi di Viaggio trova qui la sua casa naturale.

Le atmosfere sono kafkiane, a tratti persino carrolliane, ma si parla di una versione del Paese delle Meraviglie adulta e pertanto di un surreale che non ha nulla di fiabesco.

Benché l'autrice ci ponga subito, fin dalle prime righe, nel bel mezzo dell'azione, Ipotesi di Viaggio è un libro che ha bisogno di parecchie di pagine per 'carburare', a causa della sua particolarità di saltare da situazioni oniriche a flash sul passato del protagonista o a riflessioni da parte di quest'ultimo, che sulle prime possono disorientare il lettore, nonostante una scrittura chiara e  fluida. Ma anche dopo aver fatto l'abitudine a questa narrazione frammentata,  solo a partire dalla metà libro si incomincia a intuire l'immagine che andranno a comporre quelle che, fino ad allora, sono parse le tessere slegate di un mosaico. Si scopre così che il volume incarna una metafora sull'esistenza, sull'importanza delle scelte, sull'impatto determinante che possono avere sulla nostra vita futura anche espisodi che lì per lì possono apparire insignificanti e che invece finiscono per essere profondamente formativi. Come a esempio decidere se salvare un gatto quasi in fin di vita a causa delle torture di una banda di ragazzini crudeli, scacciando questi ultimi e prestando soccorso all'animale, oppure interrompendo il 'divertimento' dei delinquenti in erba con una sassata in testa al micio semi-agonizzante.

Quale delle due azioni può essere considerata quella pietosa? Non c'è una risposta oggettivamente 'esatta', ognuno risponderà seguendo l'una o l'altra inclinazione individuale e ogni scelta sarà ugualmente 'valida' in termini di Libero Arbitrio; ma per tutta la vita seguirà poi quello stesso modello, percorredolo fino alle estreme conseguenze. E quelle conseguenze non saranno, logicamente, altrettanto uguali.

Sullo sfondo di questa vera e propria giostra, in senso metaforico ma anche letterale, Silvia Obici fa muovere il suo protagonista, Roberto Moggia, rimasto orfano da bambino e allevato amorevolmente dagli zii ma nato all'interno di una famiglia che si regge su equilibri malavitosi, i quali lo porteranno a compiere svariati omicidi. Roberto capirà le dinamiche di cui abbiamo parlato nelle righe precedenti solo quando si troverà nella situazione di dover effettuare un'opera di revisionismo della propria vita.

In questo finale, però, i passaggi fra le differenti situazioni si fanno più frenetici e cervellotici. A un certo punto si perde di vista il protagonista e l'accento si sposta sul processo revisionistico della vita di Giuseppe, il boss della famiglia Moggia, rivelando così una storia di abusi e perdite che l'hanno trasformato nell'uomo crudele che è diventato. La sua vicenda getta luce anche su chi sia il misterioso barista che ricorre nel corso dell'intero romanzo.  Ma mentre l'intento dell'autrice è quello di chiarire al lettore i ruoli dei vari personaggi, l'impressione globale che se ne ricava, nell'economia dell'intero libro, è un po' confusionaria. E' a causa di questo finale altalenante che il volume perde per strada una mezza stella sulla valutazione, quando altrimenti ne avrebbe meritate tre, attestandosi infine sulle due e mezzo (anche se la nostra grafica, come sapete, può dare conto solo della cifra tonda).

In definitiva, una storia che richiede un'attenzione costante per non smarrirsi nelle sue molte giravolte e che probabilmente richiede più di una lettura per comprendere tutti gli incastri fra i vari episodi. Indicato comunque solo a chi è alla ricerca di un Fantastico un po' diverso e pensato per stimolare la riflessione sulle conseguenze sui risvolti probabilistici con cui ogni giorno abbiamo a che fare nella nostra vita. Sconsigliato invece, assolutamente, a chi è alla ricerca di un fantastico disimpegnato, d'evasione, o d'avventura.