Questo libro attira indubbiamente l’attenzione, prima ancora che per via del soggetto – i draghi esercitano sempre un fascino speciale sul nostro immaginario – per via del favoloso packaging: rilegato con copertina rigida, Hellfire è arricchito da numerose e bellissime illustrazioni a colori e da una carta patinata dall’aspetto ‘antica pergamena’ impreziosita da cornici dal sapore di antico manoscritto medioevale con capolettera miniati… Perché è infatti un antico manoscritto medioevale ritrovato quello che, nella finzione libraria, rappresenterebbe questo volume.
Indubbiamente intriganti dunque, sia il luccicante involucro che il fascino mistico della presunta scoperta archeologica. Due promesse che non vengono però mantenute quando si passa alla sostanza. Le prime pagine sono infatti un mischione poco coerente fra draghi, alchimia e fenici che si spinge ben oltre il loro legame meramente simbolico e comunque mai transitivo come invece ci fa credere l'autore accostando i draghi alle fenici; né risulta convincente la ragione, addotta dal cronista, per cui la Chiesa è la vera responsabile della volontà di relegare i draghi all’oblio di un passato mitico mai realmente esistito. E anche se un bambino, che è il target cui è diretto il volume, non si accorge della mancanza di solida logica a sostegno di tale tesi, un adulto - per quanto laico come chi sta recensendo e quindi si suppone scevro da pregiudizi - non può fare a meno di pensare che l’autore, per ragioni sue, abbia invisa l’istituzione cattolica e pertanto voglia additarla a responsabile anche di mali immaginari perché tanto una colpa più o una meno nessuno noterà la differenza.
Nelle prime cinquanta pagine, che svelano gli antefatti, ci sono inoltre inutili ripetizioni sulla fisiologia dei draghi e salti di palo in frasca nel corso della narrazione, con interruzioni di filo logico che poi si ricongiungono qualche pagina più avanti, dando l’impressione di un lavoro poco coeso e confusionario, come se l’autore avesse scritto ‘a braccio’ senza poi revisionare.
Quindi il libro entra nel vivo della narrazione, anche se ‘vivo’ per modo di dire. Ci si trova infatti dinanzi a una serie di episodi, tutti a narrazione indiretta, dall’andamento abbastanza simile: il mostro che terrorizza, la squadra di ammazzadraghi che con qualche espediente lo stana e infine lo vince. Fra il tono di una simile esposizione e la prevedibilità del contenuto, la noia regna sovrana dalla prima all’ultima pagina. L’unico guizzo, involontario, è rappresentato da un clamoroso svarione in cui incappa il sedicente trecentesco cronista, quando descrive lo shock provato dinanzi a una delle mostruose creature che si è trovato a fronteggiare. Sì avete letto bene, parla proprio di ‘shock’. Anche qui è sicuro che a un bambino la sfumatura sfugga, ma in un racconto che, per creare sense of wonder, fa perno sulla finzione del ritrovamento di antiche pergamene attestanti queste avventure, il lapsus verbale diventa abissale.
E sommando il tutto, se dobbiamo prestar fede la condivisibile opinione di C. S Lewis, per il quale nessun libro vale la pena di essere letto se non è persino più godibile a cinquant’anni rispetto che a dieci, Hellfire va giustamente bocciato su tutta la linea.
Quindi, pur nutrendo molti dubbi, posso pure concedere che un bambino ci caschi e riesca a farsi catturare, aiutato anche dalle fantasmagoriche illustrazioni e a dispetto della comunque piatta narrazione; ma se parliamo di validità artistica di una siffatta opera di fantasia ci si domanda perché un adulto che volesse insegnare a un giovanissimo lettore il valore del genere fantastico dovrebbe perdere tempo (il proprio e quello del bambino) con un prodotto incolore e dal sapore di moplen come questo Hellfire.
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