PROLOGO
Olm. La Cittadella. Colonna di Luce. Livello ventunesimo.
L’Incarnato spinse la sedia con ruote sulla piattaforma, si voltò e chiuse dietro di sé il cancello di ferro della camera ascensionale. Tornò al fianco del suo signore, gli gettò una rapida occhiata per accertarsi che non avesse alcun bisogno. L’Arconte sedeva con la nuca sul poggiatesta; attraverso le asole della maschera di lumiato si intravedevano le palpebre chiuse.
Buon segno.
L’Incarnato appoggiò un fianco alla balaustra e si sporse per raggiungere la leva. L’abbassò e la rialzò, quattro volte. Lo scricchiolio delle catene sulle ruote dentate e la piattaforma si mosse. Salì nel condotto verticale, tra le pareti squadrate di pietra scura. I blocchi parevano risucchiare la luce dei globi luminosi disposti sopra le inferriate di accesso ai diversi piani.
Aleb non aveva mai visto l’Oracolo. Sentì l’eccitazione percorrergli le membra. “Tu non senti,” recitò a se stesso, “non vedi, non parli, se il tuo signore non ti ordina di farlo. Tu sei il suo Incarnato, nient’altro che un organo, un’appendice corporea al suo completo servizio.”
Dopo uno scossone, la camera ascensionale cominciò a rallentare. Il fremito dovuto alle vibrazioni del congegno meccanico, un fischio metallico, e la piattaforma si bloccò. Erano giunti al venticinquesimo livello.
Aleb si sfilò la catenella dal collo, inserì la chiave nella serratura del cancello e aprì le inferriate. Si portò dietro alla sedia e la immise sui binari. Il suo signore sollevò la mano sinistra e Aleb iniziò a spingere, un brivido di preoccupazione alla nuca: i guanti di pelle arabescata lo confondevano nella lettura delle dita.
Lo scranno scivolò lungo un corridoio del tutto spoglio, fatta eccezione per i globi di luce. Nel silenzio soltanto lo stridere delle ruote cave sui binari. Al termine del corridoio un portone in ferro battuto sbarrava il passaggio. Le dita dell’Arconte si mossero rapide nell’aria.
“Il disco. Sotto sedile. Cassetto secondo.”
Aleb si chinò e aprì il secondo cassetto. Vuoto. Rialzò la testa. Il suo signore aveva ancora le dita alzate: soltanto il mignolo era piegato.
Il primo, per la Luce!
Si chinò di nuovo. Il disco era lì, nel primo cassetto. Lo prese, si accostò al portone, lo inserì nell’incavo e gli fece compiere un giro completo. Lo scatto della serratura, il sibilo dell’aria che filtrava dallo spiraglio. Con cautela, tirò a sé il portone. Era molto pesante e i cardini non dovevano essere stati ingrassati di recente. La corrente d’aria si riversò nel tunnel. Aleb strinse i lacci al collo della veste e si accorse in ritardo che l’Arconte gli stava comunicando qualcosa.
“…to veloce” riuscì a capire dagli ultimi movimenti delle dita. Pregò la Luce che il suo signore non si fosse accorto di quell’istante di disattenzione. In fretta tornò dietro allo scranno e riprese a spingere.
Oltre il portone, il ponte sospeso superiore si protendeva nel vuoto per almeno cinquanta passi. L’incalcolabile numero di globi che tappezzavano le mura esterne della Colonna di Luce illuminava a giorno il camminamento. L’aria era fredda, le correnti fischiavano sui blocchi di pietra. Aleb non aveva mai messo piede su un ponte superiore. Senza perdere di vista le mani del suo signore, si concesse qualche occhiata oltre i parapetti. Da lassù, il suo sguardo abbracciava buona parte della Cittadella. A destra e a sinistra i ponti che collegavano la Seconda e la Quarta alla Colonna di Luce, più in basso i passaggi ben più ampi degli altri tre ordini di ponti sospesi. Gli archi delle campate, i tiranti dei montacarichi, le ragnatele di funi e pulegge. Dovevano essere almeno a trecento piedi d’altezza. Giù in fondo, le acque scure del fiume Olmo scorrevano tra le torri dalle immani proporzioni. Un’improvvisa folata di vento gli tolse il cappuccio. Si curvò sulla sedia e accelerò il passo.
Un portone simile a quello appena oltrepassato si trovava dall’altra parte del ponte. Aleb fece scattare la serratura e lo spinse verso l’interno. Si voltò e colse gli occhi dell’Arconte fissarlo attraverso i fori nella maschera. Erano accesi, febbricitanti. Rimise i palmi sullo schienale dello scranno, avanzò oltre il portone e lo richiuse alle loro spalle. Ripartì con passo deciso su per lo stretto corridoio che saliva verso il cuore della Terza Colonna.
Si addentrarono in un dedalo di cunicoli. I lumi a olio sui ganci alle pareti si succedevano distanti l’uno dall’altro. L’Arconte lo guidava sollevando appena gli indici delle mani, ferme sui braccioli. Superarono due svolte e un incrocio. Ai lati dei corridoi comparvero porte rinforzate da bande di ferro. Non c’erano guardie, né accoliti o sacerdoti in giro. Era notte ormai, ma Aleb fu preso dal dubbio che quel labirinto di passaggi potesse essere disabitato.
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