UN BACIO

Nate mi guardava nella penombra della stanza sorridendo appena. Con la luce della televisione che aleggiava intorno a noi come una fantasmagoria, sembrava quasi che i lineamenti del volto fossero i suoi. Ma anche se quel corpo non gli apparteneva, gli occhi gli brillavano di colori inimmaginabili e sentivo il suo respiro girare intorno alla mia testa, come un vento che spiava i miei pensieri.

Da quando Charles era morto, anche se avevamo avuto occasione di rimanere soli più di una volta, non c’era mai stata tanta intimità come in quel momento. Dopo il funerale, avvenuto quattro mesi prima, Nate era tornato a vivere da sua madre e aveva passato la maggior parte del tempo con lei. Per Sally non era stato facile accettare la morte di suo marito e la consolazione di un figlio scomparso, che adesso era tornato, non bastava ad asciugarle le lacrime. Aveva smesso di piangere da un occhio solo per iniziare dall’altro.

Io, ovviamente, non pretendevo troppe attenzioni da lui, ma era anche vero che mi sentivo un po’ lasciata in disparte. Però andava bene così, mi dicevo che era solo una fase passeggera. Intanto la scuola era ricominciata e nemmeno là potevo vederlo. Dopo l’incendio che Ludkar aveva appiccato nell’istituto, Nate non poteva presentarsi col suo corpo, chiedendo di essere iscritto ai corsi. Capivo anche questo, ma potevo sentirne l’amaro in bocca.

In quel momento ce ne stavamo sul divano di casa mia e facevamo finta di vedere un film. Non so nemmeno quale fosse, ce lo aveva dato Leonard, probabilmente un horror di serie B. Ricordo solo che le urla dei protagonisti contrastavano con la tenerezza dei nostri sguardi.

Me ne stavo distesa con la testa sulle sue ginocchia, mentre lui mi passava le dita fra i capelli dietro alle orecchie. Quel tocco tiepido, gentile, mi faceva ricordare quanto era stato orribile il periodo in cui non potevamo nemmeno sfiorarci. Quando, nel Cinerarium, il solo contatto della nostra pelle poteva distruggerlo come un ramo nel fuoco.

Socchiudevo gli occhi, provando un piacere leggero ogni volta che mi scostava i capelli dalla fronte. Quando li riaprivo, ritrovare il suo sguardo sopra di me mi faceva sentire come se tutto fosse finito e quella fosse la cosa più bella che poteva regalarmi la vita.

Nascosto dalle ombre era il volto di Ludkar, lo sapevo, ma a farlo vivere era lo spirito di Nate. Quel sorriso, quelle fossette ai lati della bocca erano un segreto che solo lui conosceva. Solo lui sapeva farmi provare quel brivido che mi percorreva ogni volta che mi stava vicino.

«Come ci riesci?» gli domandai alzando lentamente il braccio per sfiorargli il mento.

Al contatto col dorso della mia mano, lui sorrise ancora e mi provocò con un po’ di malizia.

«A fare cosa?»

Rimasi qualche secondo in silenzio, guardandolo da un occhio all’altro, persa nelle sue iridescenze. Poi mi alzai di scatto e gli diedi un bacio.

«Te lo spiego dopo... Adesso vado a farmi un tè» dissi ridendo mentre mi alzavo.

Lui lasciò cadere la testa in avanti e appoggiò le braccia sulle ginocchia.

«È sleale da parte tua...» sussurrò mentre tornava a fissarmi. Gli diedi un colpetto sulla fronte.
«Devi metterti al passo coi tempi. Le amnesie non funzionano più come scusa».
«Sono stato per quasi vent’anni in un mondo di cenere...» disse

trasformando il sorriso in una smorfia. «Ho il diritto di essere un po’ strano, non credi?»

Sospirai e mi allontanai verso la cucina. «Come vuoi, io ti tengo testa».

Non gli chiesi se anche lui volesse un tè caldo, perché sapevo che non avrebbe accettato. Con il corpo che si ritrovava, quello di un Nocturno, non poteva sentire il sapore dei cibi e una tisana gli sarebbe sembrata solo un bicchiere di acqua calda.

Andai al mobiletto vicino al frigo e aprii gli sportelli. Feci scorrere lo sguardo sui barattoli, che contenevano più di trenta varietà di fragranze differenti. Da quando avevo scoperto di essere una Crepuscolare, cioè un “vampiro di fiori”, avevo cominciato a sperimentare gli effetti che ogni varietà di petali provocava su di me. Per esempio, avevo scoperto che gli infusi alla violetta e camomilla, anziché rilassarmi, riuscivano a eliminare del tutto il sonno che mi tormentava fin da quando ero piccola. Oppure che i chiodi di garofano mi permettevano di avere riflessi particolarmente pronti. Non che me ne facessi qualcosa, tranne che alle lezioni di ginnastica, ma mi piaceva l’idea di poter avere abilità che altri non hanno. Ovviamente, escludendo quella di viaggiare fra i mondi grazie al profumo degli iris.

Scelsi un tè alla rosa, sapevo che mi rendeva più bella agli occhi di chi mi voleva bene e quella sera volevo essere il più bella possibile per Nate. Misi l’acqua sul fuoco e rimasi in cucina aspettando che si riscaldasse. Stava finendo l’estate, la scuola era ripresa e un vento umido, che arrivava dall’ovest, aveva cominciato a far volteggiare le foglie secche sull’asfalto, come se l’autunno avesse mandato avanti una squadra di ricognizione.

Mi raschiai la gola. Quel tempo non mi faceva bene. Ma quella sera ero di buon umore. Non solo perché Nate e io eravamo da soli in casa e perché finalmente avremmo potuto passare un’intera notte insieme, tenendoci abbracciati nel buio, ma anche perché mia madre aveva accettato di uscire a cena con Kolor, mio padre.

Il bollitore cominciò a fischiare e mi affrettai a spegnere il fuoco. Presi una tazza e vi versai all’interno l’acqua bollente. Appena aggiunsi i petali secchi, si colorò di rosso e la cucina si riempì di un odore intenso. Inspirai i fumi di rosa e pensai che ormai era da parecchio tempo che non andavo nel Cinerarium.

Non potevo permettermelo spesso. Ludkar era a piede libero nel mondo di cenere, senza più la raffineria per passare da questa parte e senza la sua vendetta. Ma soprattutto gli avevamo rubato il corpo. Doveva essere inferocito, o forse, chissà, dopo che Nate era entrato in possesso delle sue spoglie, il suo spirito si era consumato fra le sabbie, diventando uno dei Grigi. Però non potevo saperlo.

Mi spiaceva soltanto poter vedere così poco Susan e Penny. Loro erano rimaste nella Biblioteca di Alessandria e non avevano molto da fare. Regolarmente andavo all’ospedale per vedere quali fossero le loro condizioni. Purtroppo erano sempre in coma e i medici non riscontravano miglioramenti. Comunque, anche se ero costretta a star loro lontana, bruciavo ogni settimana un paio di libri e di lettere, pensando a loro. In quel modo sapevo che sarebbero arrivati a destinazione.

Tornai in salotto con la tazza calda fra le mani. Nate era ancora seduto sul divano, nella posizione in cui lo avevo lasciato. I lunghi capelli dalle ciocche rosso fuoco gli pendevano davanti al volto. Avevamo provato a tagliarli, ad accorciarli, per togliere il più possibile l’immagine di Ludkar che si trascinava appresso, ma era risultato impossibile. Appena la forbice li recideva, il tempo che impiegavano a cadere a terra bastava per vederli ricrescere.

Sullo schermo del televisore stavano ormai scorrendo i titoli di coda.

«Hai visto il finale?» chiesi a Nate andandogli accanto e appoggiando la tazza sul tavolino.

«Solo quello. Questo genere di film non fa per me».

Mi sedetti e gli misi le braccia attorno al collo, mentre sullo schermo passavano nomi come stelle comete.

«Credo che questa sera nessun film faccia per noi» dissi guardandolo negli occhi.

Mi sorrise con la complicità sufficiente per farmi capire che aveva inteso e strofinò il volto nell’incavo del mio collo.

«Hai un buon profumo...» sussurrò vicino al mio orecchio, tanto che il suono della sua voce vibrò sotto la mia pelle.

«Non sono io...» dissi lasciandomi sfuggire un sorriso. «È il tè alle rose» e mi sporsi per prendere la tazza.

Lui mi seguì nel movimento, facendomi provare un lieve brivido.

«No. Sei tu... Non potrò sentire il sapore delle cose, ma saprei riconoscere il tuo profumo a chilometri di distanza. Questo corpo di Nocturno... è fenomenale per certi aspetti».

Lo scostai un poco e gli appoggiai una mano sul volto, facendo scorrere le dita vicino alla sua bocca.

«E non lo conosciamo ancora tutto». Mi accorsi di essere stata un po’ equivoca e cercai di correggermi: «Intendo dire... Hai una forza notevole... i tuoi sensi sono...».

Nate non cambiò espressione e, dopo aver premuto il volto contro il mio palmo e aver inspirato profondamente, mi baciò il polso. La mano in cui tenevo la tazza mi vibrò un poco e fui costretta ad appoggiarla di nuovo per non farla cadere. Sentivo che anch’io stavo cominciando a respirare profondamente. Avere Nate così vicino mi faceva quasi perdere le forze.

«Nate...» provai a iniziare la frase, ma riuscii solo a deglutire, mentre lui mi sollevava la manica e cominciava a baciarmi nell’interno del braccio, gentilmente, con la delicatezza che può avere un petalo che cade sull’acqua.

Non disse nulla e con un braccio accompagnò la mia schiena fino a farmi stendere sul divano. Sentivo gli occhi chiudersi su un miraggio che non si poteva vedere e la sua ferma dolcezza muoversi sopra di me, come un’ombra che mi proteggeva dalla notte.

Le sue labbra avevano scelto di indagare il mio corpo risalendo fino alla spalla. E quando arrivarono là, aiutate dalle dita, scostarono lo scollo della mia maglietta, fino a scoprire la pelle. Vi si adagiarono sopra schiudendosi appena e richiudendosi dopo aver sussurrato “amore” in una lingua di silenzi.

Ero persa, abbandonata, incantata ad ascoltare quella musica fatta di tocchi e carezze. Anche sul collo arrivò il suo sorriso e io reclinai la testa all’indietro, per lasciargli spazio, per concedergli la libertà di farmi sognare. Ma quello non era un sogno. Era talmente vero e bello che non riuscivo a provare piacere nel presente tanto ero presa a capire e aggrapparmi all’istante appena passato.

Sentivo unicamente i nostri respiri e ogni tanto i capelli di Nate che mi solleticavano i pensieri, mischiando alla tensione un po’ di gioco. Dio, quanto lo amavo. Il bene che volevo a quel ragazzo dagli occhi arcobaleno era forse troppo, forse tutto quello che avevo a disposizione nella vita. Ma solo a lui lo avrei dato. Solo alla sua anima.

E intanto lui era sceso, battezzando con un bacio il mio petto. La sensazione fu quella di sentirmi toccare direttamente il cuore. Un battito fu il mio modo di ricambiare quel piccolo gesto che sapeva farmi sentire viva e contare la felicità.

Ero quasi sul punto di non sentire più il corpo e di sprofondare nelle sensazioni, quando la maglietta che si sollevava sulla mia pancia e l’aria fresca d’autunno fecero fremere la mia pelle. Subito il respiro di Nate la riscaldò, e lo sentii appoggiare la guancia sul mio ventre. Ero lì per lui e lui lo sapeva. Quanti pericoli avevamo passato per quei brevi momenti, quanta solitudine e quanto odio avevamo visto... E adesso tutto era calmo, tutto era sereno, buono e giusto. Finché le nostre anime fossero state vicine, nulla avrebbe potuto corrompere il mondo.

E allora Nate, socchiudendo anche lui gli occhi e adagiando le mani sui miei fianchi, mi baciò ancora vicino all’ombelico. Strinsi appena le labbra fra i denti per alleviare l’intensità di quel momento e, senza che me ne accorgessi, stavo gridando.

Urlavo per il dolore.

La magia scomparve in un istante e tornai nella stanza, come scagliata dal soffitto sul divano. Mi rimisi a sedere sgranando gli occhi e trovandomi a fissare il televisore su cui comparivano solo interferenze grigie.

Mi accorsi di essermi portata un braccio sulla pancia e, quando abbassai lo sguardo, vidi qualcosa che non doveva esserci. Scostai la mano. Stavo sanguinando.

Lentamente, come se non volessi vedere l’inevitabile, alzai la testa alla ricerca di Nate. Lui era seduto lì accanto, con la faccia stravolta e la bocca semiaperta, circondata da un alone nerastro. Quell’immagine mi riportò alla mente ricordi violenti.

Rividi la morte di Charles con una nitidezza devastante. Ludkar in mezzo alla strada, un inferno alle sue spalle, un sorriso schizofrenico che si abbatteva sulla città, e il mio amico ucciso, senza dignità, sull’asfalto.

Quella visione mi fece sobbalzare e spostare istintivamente all’indietro.

«Nate...» sussurrai, con la paura inconsulta che quello non fosse lui, che Ludkar fosse tornato in qualche modo in possesso del proprio corpo.

Sembrò non sentirmi, teneva lo sguardo fisso a terra cercando solo di far calmare il respiro affannoso.

«Nate!» ripetei trovando il coraggio di mettergli una mano sulla spalla e scuoterlo appena.

Allora sollevò la testa di scatto e mi guardò. I colori dei suoi occhi erano più spenti, come se una goccia d’inchiostro vi fosse caduta dentro.

«Thara... io...» provò a dire passandosi la lingua sulle labbra.

Appena si accorse del sangue fu terrorizzato più di me e si pulì nervosamente con la manica. Continuò a strofinarsi anche quando ormai non ce n’era più traccia e io fui costretta a fermarlo con la forza.

«Nate! Basta! Stai tranquillo...»

Ma le mie parole sembravano non avere alcun effetto, come se dentro di lui si fosse innescata una reazione irreversibile. Non so chi di noi in quel momento fosse più spaventato e per cosa, ma non ci sentivamo a nostro agio. Era come se un demone fosse stato lì, da qualche parte, e avesse aspettato il momento perfetto per rovinare tutto.

Nate si alzò in piedi di scatto e io feci lo stesso.

«Ti ho morsa...» disse sconvolto, portandosi una mano fra i capelli e guardando innervosito il pavimento, come se stesse cercando qualcosa che non poteva trovare dentro di sé. «Non posso credere di averti morsa...»

Anche se non ero del tutto sicura delle mie parole, lo amavo così tanto che riuscii a fingere d’ignorare il dolore.

«Nate... Calmati, non è niente... Guarda, solo un graffio. Può succedere». Sorrisi cercando di sdrammatizzare. «Non che io abbia esperienza. Intendo... I tuoi denti sono appuntiti, è stato soltanto un incidente».

Sollevai la maglietta, per mostrargli che non era niente di grave. Purtroppo, fui io la prima a notare che la ferita aveva proprio la forma di un morso. Non era profonda, ma abbastanza da far uscire ancora sangue.

Sospirai e riabbassai la maglia. Le vene sul collo di Nate stavano pulsando, come se non riuscisse a riprendere il controllo.

«Thara... Io sono davvero spaventato e dispiaciuto... Non volevo farti del male».

«Non c’è bisogno di dirlo. Ne parleremo domani con mio padre. Adesso siediti... e abbracciami».

Cercai di andargli vicino, ma appena mossi un passo, lui ne fece uno all’indietro.

«No» disse fermamente e respirando a fondo. «È meglio che vada».

«Nate, per favore, è tanto che aspettiamo di poter passare una sera insieme».

Ma non riuscii ad aggiungere altro che lui aveva già raggiunto la porta. La aprì tenendo gli occhi chiusi, come se si vergognasse di guardarmi.

«Sono spaventato, Thara. Qualcosa dentro di me, dentro a questo corpo, mi ha detto di morderti. E io...» per un istante aprì le palpebre e mi lanciò uno sguardo tristissimo «e io l’ho ascoltato».

Poi scese le scale, con un unico salto. Corsi sul pianerottolo, ma era già andato. Sentii il tuono del portone.

Ormai non aveva più senso chiamarlo e così richiusi la porta. Mi strinsi nelle braccia e le strofinai. Non avevo ancora ben realizzato cosa fosse successo e non ci sarei riuscita fino al giorno dopo. In quel momento avevo solo voglia di non pensare, di rimettermi sul

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divano e tornare con la mente ai momenti di prima, ma un dolore bruciante alla pancia mi ricordò la ferita.

Andai in bagno per cercare le bende nella cassetta del pronto soccorso. Quello, se non altro, era il vantaggio di essere figlia di una farmacista: medicamenti in abbondanza.

Ciò che era successo quella sera non doveva più ripetersi.

Evidentemente, stare nel corpo di un Nocturno non era così semplice come Nate e io avevamo creduto. Mio padre ci aveva messi in guardia, ci aveva detto di essere cauti, ma fino a quel momento Nate non aveva mai avuto nessun sintomo. Comunque, ero convinta non fossero cose di cui doversi preoccupare davvero. Magari Nate, non essendo abituato a situazioni così intense, si era lasciato andare come avevo fatto io e qualcosa aveva preso il sopravvento sulle sue azioni. Insieme saremmo riusciti a superarlo. Io, del resto, avevo accettato senza troppi rimpianti il suo nuovo corpo, e mi ero adeguata alle esigenze del mio ragazzo. Sì, alla fine c’eravamo messi insieme, anche se nessuno dei due lo aveva mai detto esplicitamente all’altro. Ci sembrava evidente.

Kolor era stato di grande aiuto: aveva insegnato a Nate come trattenere la fame, per evitare di mangiare carne animale e perdere pian piano l’umanità. Perché quello succedeva ai Nocturni: diventavano ciò che mangiavano.

Finii di medicarmi e tornai in salotto. Spensi distrattamente la tv e controllai l’ora. Era tardi. Il giorno dopo sarei dovuta tornare a scuola e anche se non avevo sonno, e visto che la notte con Nate era ormai diventata un ricordo non vissuto, dovevo sforzarmi di dormire.

Lanciai uno sguardo alla tisana di rose che avevo abbandonato sul tavolino e che stava esalando gli ultimi fumi. Prima di stendermi, mi sarei messa un po’ davanti al computer per controllare le e-mail e vedere se Christine aveva postato le foto del suo compleanno.

Mi sedetti alla scrivania. Il pc era già acceso e bastò muovere appena il mouse per far rinvenire lo schermo. Diedi subito un’occhiata al profilo di Christine per vedere le foto e le trovai. C’eravamo noi cinque davanti a una torta di compleanno nera. L’avevo fatta fare io apposta per lei sapendo quanto le piacessero le cose dark.

Lasciai qualche commento, senza però accennare nulla a quello che era successo poco prima con Nate, e aprii la mia posta elettronica. Eliminai un po’ di spam e risposi a una ragazza che mi chiedeva se potevo darle lezioni di latino. Stavo per chiudere, quando il trillo che segnalava l’arrivo di un nuovo messaggio mi trattenne.

Aggrottai la fronte. Il nome del mittente era Mr Spectre. «Ancora?» dissi a bassa voce.
Erano un po’ di mesi che non ricevevo più e-mail da quell’in-

dirizzo sconosciuto. Quasi sempre erano vuote, o con delle strane scritte, più che altro segni. Ormai pensavo che si trattasse di qualcuno che sbagliava indirizzo o di un errore del server. Quella sera, visto che le cose avevano già cominciato ad andare male, era giusto che finissero peggio. Non era per niente casuale che questi messaggi arrivassero a me. La persona che li mandava sapeva benissimo a chi erano rivolti.

In quella e-mail, come nelle precedenti, non c’era testo. C’era un allegato, però. Una foto.

Nell’istante in cui la aprii, i miei muscoli si paralizzarono. E la paura che provai fu molto più forte di quella che avevo avuto quando Nate mi aveva morso.

L’immagine che adesso occupava per intero lo schermo era stata scattata al funerale di Charles. La foto ritraeva me che osservavo Nate mentre aiutava a ricoprire la fossa sotto la pioggia battente. Era stata scattata da abbastanza lontano con un obbiettivo molto potente, tanto che sotto l’ombrello si poteva riconoscere il mio volto cupo. Come in quel momento, davanti al computer.

Avrei potuto bere qualsiasi tipo di tè quella sera. Non sarei mai riuscita a dormire.