CAPITOLO 1

Su Deasterre era calato il crepuscolo.

Le ultime lingue rosseggianti di un tramonto avvelenato lambivano l’orizzonte, proiettando ombre sanguigne sul pavimento di marmo nero tirato a lucido. Dall’alto della torre che dominava il paesaggio, era possibile scorgere le migliaia di luci pulsanti di vita, che sussurravano promesse alle menti stordite dalla frenesia che ogni notte avvolgeva la città, rimpiazzando il grigio alone che gravava sul pianeta durante il giorno. Un uomo stava ritto di fronte alla finestra, le mani dietro la schiena, osservando l’attività convulsa con sguardo distaccato. Indossava vesti dal tessuto sontuoso ma dal taglio semplice, quasi militare, di colore nero. I capelli e la barba, della stessa identica sfumatura, erano tagliati con precisione millimetrica, e un corto mantello era assicurato alle sue spalle, accarezzandone la figura in morbide pieghe.

Dietro di lui, seduto a gambe larghe su una sedia lucida, accanto a un tavolo su cui riposava un assortimento di carte e dischi di memoria, un secondo uomo lo osservava. Questi, un atteggiamento in stridente contrasto con quello del suo compagno, portava abiti da viaggio riccamente adornati, eccessivi quasi, e masticava indolente resina di aloreca. I capelli castani, lunghi sul collo come dettava la moda, gli ricadevano mollemente su un occhio, nascondendolo alla vista.

«Smettila di ruminare, mi dai fastidio,» scattò a un tratto l’uomo in nero, senza voltarsi. «Non farmelo ripetere.»

Il secondo uomo alzò un sopracciglio, poi con un’alzata di spalle si tolse la resina dalla bocca e la appiccicò sulla superficie lustra del tavolo, con un sogghigno.

«Gli hai parlato?» domandò l’altro dopo un momento.

«Sì» rispose secco, scostandosi la frangia che gli copriva l’occhio e svelando un’orbita vuota in cui era incastonata una Gemma di Sangue. «Posso assicurarti che non è affatto contento. A ogni modo, farà come gli è stato ordinato. Non ha altra scelta.»

«Molto bene.» L’uomo in nero si voltò e raggiunse a lunghi passi il tavolo, riordinando con efficienza le carte. Notò la resina appiccicata, ma non disse nulla. «E Rulrindale ?»

Il guercio sbottò in una risata canzonatoria. «Quello è solo un burattino. Appartiene a lei, ma forse possiamo manovrarlo a nostro piacimento. Si assicurerà che quella creatura venga addestrata come si conviene, e poi ce la rispedirà quando sarà pronta.»

«Non sottovalutare la doppiezza di quella donna, Gesetal. Bisognerà tenerla d’occhio. Fa’ preparare la navetta, che sia pronta per partire entro l’alba di dopodomani. Dovrà sembrare un viaggio di routine.»

L’uomo di nome Gesetal scosse la testa, estraendo un pugnale ingemmato dalla cintura per pulirsi le unghie. «Ti preoccupi troppo. La Signora ha bisogno di noi per i suoi traffici, farà come le è stato detto.»

«Sei tu che non ti preoccupi abbastanza!» L’uomo in nero sbatté con violenza un pugno sul piano del tavolo, mandando i dischi di memoria a infrangersi sul pavimento.

Gesetal osservò il gesto con moderato interesse. «La ragazza ci è quasi sfuggita già una volta. Farai meglio ad assicurarti che salga su quella navetta» continuò l’altro, «o ti riterrò personalmente responsabile.» La voce, quasi un ringhio, conteneva una palpabile minaccia.

Gesetal annuì, l’occhio di rubino che scintillava della stessa tonalità del tramonto morente, poi si alzò con calma, riponendo il pugnale. «E gli altri prigionieri che saranno sulla nave?»

«È un vero peccato» sospirò l’altro. «Sarebbero stati di estrema utilità al nostro stimato Ostmark. Avevano un certo… talento. Ma non importa, immagino che siano sacrificabili. Se non moriranno subito, potrà disporne lei come meglio crede.»

Gesetal sorrise, un sorriso lento e crudele. «In quel caso prevedo che la loro sarà una fine interessante. Adesso ti lascio alle tue riflessioni e vado a premurarmi che tutto proceda come da te disposto.» Con un inchino ironico, l’uomo batté sui tacchi e si allontanò. L’altro già non ascoltava più. L’espressione era pensierosa, corrucciata persino. Osservava le stelle lontane nel cielo nero.