Capitan Emilio Salgari, lo scrittore del mare fantastico

di Maria Cristina Calabrese

Emilio Salgari
Emilio Salgari

In tanti lo conoscono, per averne letto i romanzi, oppure avendone seguito una trasposizione per la tv o una versione a fumetti, ma anche se nelle scuole poco se ne è parlato e non sempre in modo edificante visto che, sui libri di letteratura italiana, non c’è mai stato troppo spazio per lui, a quasi centocinquant’anni dalla sua nascita (o, se volete, al centenario della morte) non possiamo non rendere merito a Emilio Salgari di una grande capacità: quella di creare, senza aver mai visitato, quei luoghi e quei personaggi che oggi vivono immortali nei suoi romanzi d’avventura. 

Sàlgari (o anche Salgàri) si inserisce nel panorama della letteratura italiana in una costola del romanzo “d’appendice”, quella della letteratura per ragazzi: negli ultimi decenni dell’800 infatti, grazie a una prima diffusione della scolarizzazione, il romanzo d’avventura reinventò in un certo senso il genere eroico cavalleresco, conferendogli una forza e una caratterizzazione nuova, più moderna. È poco noto, però, che Salgari possa essere considerato un pioniere della letteratura fantascientifica, e in questo senso trova validità il parallelo che alcuni critici tentarono con il francese Jules Verne: negli ultimi anni di vita, Salgari espresse per iscritto le proprie considerazioni sul futuro e sulle invenzioni che l’uomo, nel corso dei decenni, avrebbe prodotto per il miglioramento delle condizioni di vita o anche, nella sua visione pessimistica, sul peggioramento delle condizioni umane date dal troppo benessere.

Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari nacque a Verona il 21 agosto 1862, da una famiglia veneta di commercianti tessili della medioborghesia mercantile. La prima data importante, menzionata dalle fonti biografiche, coincide con l’ingresso dell’allora sedicenne Emilio al Regio Istituto Nautico “P.Sarpi” di Venezia. Durante quegli anni si imbarcò per viaggi di addestramento sull’Adriatico, e si parla anche di un unico viaggio da passeggero che il giovane compì a bordo del mercantile “Italia Una”, passando dalla Dalmazia, forse per l’Egeo, ma senza andare oltre Brindisi. Nel 1881 decise di abbandonare l’Istituto Nautico senza aver conseguito il titolo di Capitano di Marina, del quale però si fregiò lo stesso, per tutta la vita. 

È evidente che la scrittura ebbe la meglio su qualunque altra passione: nel 1883, ormai ventunenne, l’Ammiragliador iniziò la collaborazione con La Nuova Arena, il quotidiano di Verona, e un altro quotidiano dell’epoca, La Valigia, occupandosi di cronache teatrali, attualità, politica estera legata alle vicende coloniali inglesi nell’area indo malese: si tratta di influenze che ritroveremo fortissime nella sua produzione letteraria, tanto che molti critici letterari giudicano i suoi romanzi ricchi di elementi appartenenti al melodramma verdiano, e con una forte eredità garibaldina.

Salgari, inoltre, leggeva moltissimo, ovviamente romanzi di avventura: oltre agli autori stranieri più noti del tempo come Victor Hugo, George Byron, Walter Scott, Alexandre Dumas sr, Edgar Allan Poe, James F. Cooper, Eugène Sue, Robert L. Stevenson e il contemporaneo Jules Verne, era appassionato di giornali illustrati di viaggi, nonché di cronache politico-geografiche; tutto ciò formerà il suo background culturale che, insieme alla sua allenata quanto fervida fantasia, nonché a una grande memoria e capacità di rielaborazione, gli permise di raccontare le storie che più lo resero famoso.

Alternò a lungo, dunque, il suo lavoro di cronista con la incontrollata vocazione di romanziere al punto che, nel 1994, il libro-documentario Una Tigre in redazione di Silvio Gonzato, raccontò di come Salgari avesse due scrivanie, una sorta di cambio d’abito mentale, ma è indubbio che la reciproca influenza fosse forte. Nel 1882 pubblicò a puntate, su un settimanale milanese, il romanzo I selvaggi della Papuasia, probabilmente sotto lo pseudonimo di Capitan Guido Altieri.

Nel 1883 fu il momento del riconoscimento pubblico: su La Nuova Arena, infatti, furono pubblicati a puntate Tay See, successivamente intitolato La rosa del Dong-Giang, e le Tigri di Mompracem. Quest’ultimo, soprattutto, permise a Salgari di attirare una certa attenzione non solo per l’originalità dei contenuti quanto per il lancio pubblicitario: sul giornale veronese, infatti, apparve una falsa notizia su una tigre che, in fuga, si aggirava per Milano!

Nonostante tutto, però, la pubblicazione dell’apripista del ciclo dei Pirati della Malesia non permise alcun ritorno economico importante.

Seguì quindi un fervido quinquennio di attività lavorativa parallelamente alla produzione letteraria, con la collaborazione su alcune riviste locali come Il Telefono di Livorno (1887) e La Gazzetta di Treviso (1891) durante le quali, però, si frappose il suicidio del padre, nel 1889.