La forma del male
di Francesca Angelinelli
01
Le strade di Contention erano polverose e animate di gente. “Troppa gente”. Jim si calò lo stetson sulla fonte per celare il proprio sguardo nell’ombra della tesa e osservare indisturbato i passanti. Ognuno di loro poteva essere la creatura che cercava. Anche la signora in abito bianco di pizzo e crinolina, piegata su una culla, avrebbe potuto non essere ciò che appariva. “Dannazione!”, imprecò tra sé, mentre guidava il suo mustang, Ribelle, verso il saloon. Se c’era una cosa che odiava di Tom “Cambiafaccia” era che avrebbe potuto benissimo farsi passare per il moccioso nella culla tanto quanto per il marito della signora, senza che nessuno si accorgesse dello scambio. Di demoni, mostri e stranezze sputate fuori dall’inferno dei bianchi tanto quanto da quello dei sioux ne aveva viste abbastanza da cominciare a perderne il conto, ma i mutaforma “cazzo!” su quelli non ci potevi mai contare. Se un uomo di notte si trasformava in un coyote perché era stato tanto idiota da appendersi in casa la pelle dell’animale ucciso e cominciava a far fuori la sua famiglia per poi passare al resto del villaggio, gli si poteva sparare. Un bel colpo preciso e Rebecca, la sua colt caricata con pallottole d’argento, avrebbe fatto un lavoro rapido e pulito. Tanti saluti al coyote mannaro di Springfield, Arizona. Gli bastavano due occhiate per riconoscere un tizio colpito dalla maledizione: occhi iniettati di sangue, barba non fatta, unghie lunghe, appetito insaziabile e un’improvvisa predilezione per la carne appena scottata. Un po’ come quella volta che aveva inquadrato in una frazione di secondo quell’indiano che non voleva saperne di morire. Maledizione, quello non lo sapeva neppure di essere crepato da una settimana! Eppure il puzzo avrebbe dovuto fargli venire qualche dubbio sulle sue condizioni. Di solito gli indiani non erano così sciocchi. Ma Scalpo che Corre era stato gabbato al gioco da un soldato e si era messo in testa di vendicarsi. Non era bastata la morte a fermarlo e poco gli importava che nell’aldilà i soldi non gli sarebbero serviti a un gran che. Era una questione di principio, diceva. Sacrosanto! Ma che odore terribile avevano i suoi principi.
Con i mutaforma le cose non erano mai così semplici. Per questo Jim dava la caccia a Tom “Cambiafaccia” da alcuni mesi, ormai. Dal Montana al Nebraska, passando per i due Dakota e il Wyoming, aveva passato in sella più giorni dietro a Tom che durante tutti gli anni trascorsi con gli Oglala a imparare come comportarsi da vero sioux. Era rimasto un wasichui eppure in quel momento, mentre ripensava alle settimane trascorse sulle tracce di quel dannato fuorilegge, non sentiva tanto l’orgoglio ribollire all’idea di quanto lo avrebbe sfottuto Virgil Walker, la buon’anima di Sceriffo federale che gli aveva dato le prime pallottole d’argento e quell’incarico maledetto, quanto piuttosto per come lo avrebbe guardato Cavallo Pazzo, il suo “fratello” indiano, se fosse stato lì a vedere quanto il suo culo e la sua sella fossero diventati intimi a causa di un fottuto mutaforma. “Che il diavolo se lo prenda”, avrebbe voluto imprecare, ma la verità era che nemmeno il diavolo voleva avere a che fare con Tom “Cambiafaccia” e per questo gli aveva dato un calcio nel sedere tanto forte da spedirlo su, nelle praterie del selvaggio west. “Amen” avrebbe concluso padre McBride, giù a Fort Laramie. Ma il vecchio esorcista non c’era, Virg se ne stava con molta probabilità a farsi lucidare gli stivali in qualche maledettissimo posto in Kansas e Cavallo Pazzo era chissà dove tra le Black Hills e i monti Big Horn.
Le cose stavano così: doveva risolvere la faccenda di Tom “Cambiafaccia” da solo e il più in fretta possibile, perché di certo lo stramaledetto mutaforma aveva già ammazzato un’altra vittima per assumerne l’identità e prenderne il posto. Era così che agiva anche durante le rapine. Trentasette rapine in banca, cinque assalti ai treni, otto diligenze e un numero imprecisato di morti tra soldati, civili, indiani e qualsiasi altra forma vivente su cui il bastardo avesse messo mano. L’ultima delle quali, per quel che ne sapeva, era stata Anna O’Sullivan, ballerina venticinquenne, gambe lunghissime e occhi da cerbiatta, scomparsa dal saloon di Salvation, South Dakota, dove lavorava, solo per riapparire due giorni più tardi tra i passeggeri di una diligenza diretta a sud. Passeggeri tutti morti, ovviamente, e privati di ogni singolo avere, compresi i denti d’oro del conducente. Per giorni, cavalcando verso il confine con il Nebraska, Jim si era domandato cosa diavolo avessero pensato gli altri occupanti della carrozza nel vedersi minacciati dal bel visino irlandese di Anna, ma soprattutto quale aspetto avesse assunto Tom dopo aver mollato la pupa. Perché a Resurrection, da dove la diligenza era partita, non avevano saputo dargli molte informazioni sugli occupanti della carrozza. Qualcuno aveva notato la “rossa con la veletta”, Anna, anzi Tom sotto le spoglie di una finta vedova. Ma sugli uomini c’era stata parecchia confusione. Chi sosteneva che vi fosse un medico, chi un avvocato, chi uno zotico allevatore di vacche, altri che ci fosse una specie di giornalista. Di certo c’era che, quando aveva raggiunto la diligenza rovesciata e ispezionato i cadaveri degli occupanti, non aveva trovato né un medico, né un avvocato, né una specie di giornalista. C’erano, invece, oltre a Anna O’Sullivan, un ranchero, con ancora la pistola tra le dita e il colpo inesploso nel tamburo, e un commesso viaggiatore, abbracciato alla valigetta con i suoi campioni di tessuto. Mancava anche il cavallo del ranchero, probabilmente quello con cui il mutaforma aveva raggiunto Contention.
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