Il sommesso grazie che mi raggiunse da dietro le spalle mi riempì il cuore.

Cercai lo sguardo di Magda. Lei annuì, sorridendo, mentre uscivamo dal cimitero.

* * *

Magda ciondolava sull’altalena. Io mi limitavo a starle accanto, appoggiato al tubo obliquo della struttura. La sua sola presenza mi colmava. La osservavo disegnare archi spensierati, mentre nei suoi occhi brillava la stessa inconsapevole gaiezza che riscontravo nell’accoppiata di bambini che si rincorrevano lì attorno. Le rispettive madri, più ciarliere che attente, scoccavano loro ogni tanto occhiate distratte, fino a che una piroetta troppo azzardata non portò il maschietto a rovinarmi ai piedi. Lo aiutai a rialzarsi.

- Scusami, signore - fece, educato.

Signore... Mi venne da ridere, a contare gli anni che separavano la mia età da quella del piccolino. Quegli anni, quei giochi, non erano così lontani. Sarà stata la barba di tre giorni. Signore: dovevo rassegnarmi, conclusi. Passai una mano tra i capelli a caschetto del marmocchio, arruffandoglieli. La madre piombò lì un attimo dopo, e senza dire niente gli cacciò un sonoro ceffone che sorprese più me che lui, forse avvezzo a simili reazioni. - Marco, devi stare attento! Quante volte ti ho detto di non dare fastidio alla gente, cazzo! – berciò, rivelando qualità da gran signora, oltre che doti d'educatrice. Il bambino abbassò lo sguardo all’istante, la guancia rossa e pulsante. Nessuna lacrima. Sì: c’era abituato.

- Chiedi subito scusa! – ammonì, petulante e odiosa.

- Guardi che lo ha già fatto - intervenni brusco, palesando aperta antipatia. Di sfuggita, colsi l’occhiata d’approvazione di Magda.

- Ah. Bene. - Senza aggiungere altro, la giovane mamma ritornò dall'amica, a lamentarsi del marito troppo geloso, oppressivo, poco sensibile, che insisteva nell’invadere la sua sfera privata. Chissà come, finiva persino a ritrovarselo sempre tra i piedi anche quando tirava tardi in discoteca con le amiche, al sabato sera. Evidentemente, rifilavano puntualmente il povero bambino ai nonni.

Marco ritornò a correre con la sua compagna. Illusione di libertà. Giochi di bimbi minati dall’adulta isteria.

- Arrivo! - gridò Magda, nel lanciarsi con un balzo ardimentoso giù dall’altalena. Atterrò sulla ghiaia del giardinetto con atletica naturalezza. Una coppia di anziani che l’umidità piegava solo nel fisico, applaudì quella esibizione degna di una ginnasta. La seguirono con occhi lieti fino a che lei non si gettò sorprendendomi tra le braccia, e mi stampò un bacio sulla guancia, non lontano dalla piega delle labbra.

- Beata gioventù - commentò la vecchia, con tono compiaciuto e nostalgico insieme. Nostalgico, come si conveniva a quella magica giornata autunnale.

- E’ strano... – commentai.

- Cosa è strano?

- E’ come se avessi già vissuto questa scena, solo da spettatore. L’ho sognata, forse. Di certo, l’ho descritta in una mia poesia.

Una pausa, il solito sguardo, dolcissimo ma impenetrabile, e poi: - Tu scrivi poesie?

- Ti sembra strano?

- No, anzi. Tu sei proprio il tipo del poeta.

- Uh... E’ un complimento, sì?

- E’ un complimento.

- Grazie.

- Ma per alcuni può anche essere una condanna.

Feci per ribattere, volevo capire, ma non ne ebbi il tempo.

- Voglio leggerle – affermò lei.

- Credi che me le porti sempre dietro?

- Le hai a casa, è logico.

- Già. - Il cuore accelerava.

- C’è qualcuno a casa?

Oddio! - No, non c’è nessuno. I miei staranno via alcuni giorni - spiegai, sforzandomi di non tradire l’emozione che montava.

- Ok. Allora, si va?

Certo che si va! Le presi la mano, invitandola a seguirmi. Non osai nemmeno cingerle le spalle con il braccio. Nella mia insicurezza, temevo d'osare troppo. Neanche mezz’ora dopo, eravamo a casa mia. O meglio: a casa dei miei, per essere più corretti.

- Il mio piccolo regno - dissi, introducendola all’interno della mia cameretta.

Una moltitudine eterogenea di libri tutti ordinati sui numerosi scaffali, oggettini, ricordi, foto, lo stereo, i dischi e le cassette, il poster di Bowie... Ecco, tutto finiva li, su una finestra aperta su alberi scheletrici e infreddoliti. Sulla nebbia.

- E’ piccola, lo so. Ma a me piace – aggiunsi, come a scusarmi.

- No, è proprio carina - adulò lei, frugando attorno con occhiate avide, leggendo i titoli dei libri, osservando e studiando le piccole cose. - E’, come dire, intimistica?

- Diciamo così. E’ un eufemismo, però.

Magda scrutò ancora lo stereo. Poi i dischi. Vecchio vinile, oggi più che pensionato.

- Della musica? – propose.

- Perché no? Hai qualche preferenza?

- Fai te. Mi fido.

- Uhmm... Dell’ambient, allora. Ti piace David Sylvian?

Lei fece spallucce.