Sono sempre stato un lettore bonelliano.
Lo dichiaro con convinzione. Con orgoglio.
Se amo i fumetti, è grazie prima di tutto all’impatto dell’immarcescibile Tex nel mio immaginario infantile, e a tutto ciò che dalla fucina della Bonelli (anche nelle sue precedenti e ormai lontane incarnazioni editoriali) è uscito; prima prettamente per la fruizione di ragazzini e ragazzi cresciuti, poi anche per un pubblico adulto e maturo.
A qualche giorno dalla morte di Sergio Bonelli, mentre chiudo l'ultima tavola dell'ultimo nato, Shangai Devil, non posso non provare malinconia alla lettura dell'editoriale di presentazione da lui firmato per presentare la nuova miniserie.
Molti hanno sostenuto che Bonelli è stato molto, troppo, conservatore. Può essere, ma solo sotto alcuni aspetti. Con l’obiettivo, ritengo, di garantire sempre quella continuità che rientra nel concetto di solido marchio di fabbrica (in un’unicità che non emula, ma è patrimonio nazionale), anche se è vero che, a volte, tale coerenza poteva indurre alcune resistenze al cambiamento che persino il pubblico di lettori di lungo corso intuiva. Resistenze con cui i più diretti interessati, cioè sceneggiatori e disegnatori, hanno dovuto confrontarsi probabilmente anche a prezzo di stancanti negoziazioni. Immagino siano stati soprattutto alcuni degli illustratori a soffrire la tavola bonelliana, che pure ha saputo evolversi senza rinnegare la tradizione.
Conservatore, dunque, Sergio Bonelli?
Sì, e NO.
Chi ha avuto il coraggio di una prima, storica, svolta con un personaggio come Mister No? Un cambio di rotta firmato sia come editore che come autore, visto che Guido Nolitta era l’alias di Sergio Bonelli stesso. Il quale, dopo le sue esperienze personali in Amazzonia, volle creare un personaggio ad hoc: un uomo con i suoi valori, ma alla deriva, che vive alla giornata, avventuriero, sbevazzone, che non disdegna un bordello laddove manca la bella di turno.
Quale editore ha proposto un protagonista unico, indimenticabile, e veramente di stacco, rispetto ai fumetti italiani anni 70, qual è stato Ken Parker?
Chi ha lanciato Dylan Dog? Attirandosi peraltro anatemi da famiglie reazionarie o bacchettone con un horror anche truculento, granguignolesco, ma in primis veicolo di contenuti e valori più di tanti ipocriti proclami perbenisti.
Chi ha accettato di puntare alla fantascienza matura di Nathan Never del trio Medda/Vigna/Serra, e dei validi sceneggiatori che li hanno seguiti?
Chi ha portato nella casa editrice Gianfranco Manfredi, autore di serie a fumetti che definire popolari e d’autore nel contempo non è confutabile: il western più realistico e insieme più fantastico Magico Vento, l’Italia colonialista di Volto Nascosto, e ora il nuovo Shanghai Devil?
Chi ha scommesso su Mauro Boselli? Su Dampyr?
O su Carlo Ambrosini come sceneggiatore oltre che disegnatore (Napoleone)?
E sugli spazi dati ad un autore completo come Luca Enoch?
Chi ha alla fine ceduto, lasciando che persino Tex venisse in qualche modo, seppur controllato, rivisto sia per soggetti/sceneggiature che per disegni. Chi avrebbe immaginato un Tex come quello proposto dal duo Ortéz-Segura, fino a non molti anni fa?
Insomma…
La Bonelli ha sempre voluto essere una casa editrice popolare. E non si è smentita. Certo, anche nell’obiettivo di mantenere le vendite. Eppure, nel contempo è riuscita nell’intento di proporre fumetti anche di contenuti, oltre che di emozioni, senza rinnegare la propria mission di raggiungere i più. Divertendoli.
E dopo questa veramente lunga prolusione (ma la morte di Bonelli mi aveva lasciato questo piccolo groppo in gola – non potevo non abbinare i due eventi), vado a segnalare l’uscita di questo mese della nuova miniserie bonelliana: Shangai Devil.
Tra i vari film che più colpirono la mia immaginazione, durante la mia infanzia, ci fu anche un vecchio kolossal americano del 1963, intitolato: 55 giorni a Pechino. La regia era affidata a Nicolas Ray, con un cast d’eccezione, per l’epoca: David Niven, Charlton Heston, Ava Gardner, Philippe Leroy… Il mio amore e interesse per l’Oriente nacque anche, perché negarlo, anche in quelle scene pur imperfette e decisamente retoriche proprie della filmografia dell’epoca, ad ogni modo epiche e intriganti. Soprattutto per i quegli anni.
E’ proprio nel periodo che vede la rivolta dei Boxer scatenarsi in un rigurgito d’orgoglio cinese (momento storico più complicata di questa mera semplificazione, ma evito qui ogni approfondimento) che Gianfranco Manfredi rimette in scena Ugo Pastore, il protagonista principale dello straordinario Volto Nascosto.
Il trafficante d’oppio è il titolo del primo numero.
Tra i protagonisti di fantasia della serie, oltre ad Ugo Pastore, troviamo Ha Ojie, un attore di teatro cinese, e la prostituta Meifong, già presenti in questa prima avventura, e poi Evaristo Cazzaniga, un avventuriero milanese, Chuang Lai, monaco shaolin alla guida dei ribelli, e un’avvenente spia inglese: Lady Jane Stanton. Ma ruoli principali li reciteranno anche personaggi storici come Sir Claude Maxwell McDonald (il diplomatico inglese interpretato da Niven nel sopra citato film), l’imperatrice vedova Cíxǐ (vera detentrice del potere imperiale all’epoca) e Guangxu, giovane imperatore Quing, spodestato dallo strapotere della zia.
Il trafficante d’oppio è un buon primo numero, che nonostante l’onere di gettare le basi dei futuri sviluppi riesce bene a chiudere un episodio compiuto.
Un benvenuto quindi a questa miniserie, sulla cui qualità sono del tutto pronto a scommettere.
E, grazie, Sergio Bonelli.
Shanghai Devil n. 1, mensile
Il trafficante d'oppio
Soggetto e sceneggiatura: Gianfranco Manfredi
Disegni: Massimo Rotundo
Copertina: Corrado Mastantuono
96 Pagine - 2,70 Euro
3 commenti
Aggiungi un commentoHo le lacrime agli occhi...
Bellissimo articolo Fabio, anch'io sono sempre stato un grande fan di Bonelli, in particolare Tex, Dylan, Nathan e Legs!
Anche io sono da sempre un divoratore di fumetti Bonelliani e Sergio rimane nel mio cuore proprio perchè suoi sono i miei personaggi preferiti, cioè Zagor e MisterNo. Sono daccordo con te Fabio sul fatto che sia tutt'altro che conservatore. Anche Zagor stesso è un western atipico, con racconti che passano anche attraverso il fantasy e l'horror. Delle scelte editoriali hai già detto tutto tu. L'unica scelta che non ho mai apprezzato, anche se capisco che si tratta di esigenze aziendali (anche altre aziende come ad esempio la Disney lo fanno), è quella di utilizzare disegnatori troppo diversi tra di loro per stile grafico, in una stessa collana. Una scelta che a volte penalizza bei racconti (io stesso spesso ho rifiutato di comprare fumetti dopo aver visto dei disegni a mio parere inguardabili).
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