OTTENTOTTI

1

VISO DI SCIMMIA

Il grosso pesce era stato palesemente ricucito nel mezzo. Malfatte ribattute di spago nero incerato correvano lungo l’intera circonferenza come il ghigno sul viso di una folle bambola di pezza, e tenevano insieme due metà del tutto eterogenee. Di dimensioni non corrispondenti, le due metà dell’ibrido non combaciavano con cura, ma rivelavano il bianco rosato della carne all’interno della parte anteriore, più grande. Con la lunga testa affusolata, la mascella inferiore sporgente e i denti acuminati, la parte anteriore apparteneva chiaramente alla famiglia dei Shyraenidae: uno dei barracuda. La parte posteriore era di più difficile identificazione, anche se un’ipotesi altamente erudita (Losanna, Zurigo, Heidelberg, Monaco, Vienna e Parigi) l’avrebbe posta nella famiglia degli Acipenseridae: gli storioni. Un fatto, tuttavia, era incontestabile: la coda era stata riattaccata alla rovescia rispetto alla testa, cosicché la pinna ventrale si trovava ora in un’impossibile posizione dorsale.

Quel mostruoso incrocio razziale giaceva, con gli occhi vitrei e un pallido siero che gocciolava lentamente dalla giuntura, su un pezzo di tela bagnata con i bordi strappati e un singolo anello d’ottone. La tela era in grembo a un uomo seduto.

Quell’uomo era Louis Agassiz.

Scienziato svizzero di nascita, maestro di paleontologia, ittiologia e zoologia, dottore in medicina, pubblico conferenziere, formulatore e divulgatore della teoria dell'Eiszeit, Naturalista Laureato (nel linguaggio giornalistico) d’America, la sua nazione di adozione, Agassiz aveva da poco compiuto quarant’anni. Alto e forte, per quanto un poco corpulento, indossava pantaloni di lana, gilè e giacca a doppio petto, econ un foulard bianco al collo. Il volto era dominato da occhi castani penetranti e acuti come gli aculei di un riccio di mare (il comune echinoide) e da una mascella larga e quadrata. Labbra e naso erano alquanto carnosi. Era sbarbato di fresco, a parte le lunghe basette, e possedeva un colorito piuttosto rubicondo. La marea di capelli ancora scuri, che iniziava a ritrarsi lievemente, evidenziava una fronte altamente filosofica (Samuel George Morton, insigne collega di Agassiz a Filadelfia, ne aveva stimato la capacità cranica in 115 pollici cubici, chiaramente molto sopra la media per un esemplare della razza bianca ((e dunque per qualsiasi razza, giacchè i bianchi rappresentavano il culmine della creazione)), e Morton, pur essendosi astenuto dal rivelare il suo desiderio, aveva già in progetto di assicurare il cranio di Agassiz alla sua immensa collezione, si desse il caso che quest’ultimo perisse prima dello stesso Morton...).

Agassiz osservò l’abominio che aveva in grembo. Quasi non sapeva cosa dire. Davvero immaginavano che prendesse sul serio quella grossolana mistificazione? Fino a che punto quegli americani consideravano così credulone l’europeo medio?

Nei dieci mesi di esperienza americana finora trascorsi, Agassiz aveva raggiunto alcune conclusioni riguardo al carattere della nazione. Il tipico cittadino americano era sfacciato, scaltro, pieno di energia e con una generosa riserva di parlantina e scarsa moralità. Nei casi più tollerabili, si trattava di ragazzini viziati, pieni di entusiasmo giovanile. Ottimi nello sprint, non avevano resistenza. I migliori, come i suoi colleghi di Harvard (quelli che erano riusciti a stabilire linee di accoppiamento impeccabili all’interno della loro classe sociale), erano da un punto di vista etico e intellettuale pari ai migliori europei. I borghesi, come John Lowell e Samuel Cabot... be’, i borghesi erano uguali in tutto il mondo. Ma la massa degli americani, a differenza dei loro equivalenti del Vecchio Mondo, erano selvaggi e imprevedibili.

Naturalmente tutto derivava dagli incroci. Il paese era un’accozzaglia di razze, che mescolavano il loro sangue senza la dovuta considerazione per le antiche divisioni geografiche, vigenti sin dalla Creazione: ariani, anglosassoni, galli, slavi, iberici, mediterranei, celti, mongoli, han, semiti, scandinavi, baltici, indiani pellerossa... C’era da meravigliarsi se la progenie di tanta madornale bastardizzazione fosse capricciosa, disorganizzata e avida, o che presumesse che i suoi superiori fossero facili da ingannare in una trattativa d’affari come faceva con i sempliciotti suoi simili?

E la peggior componente di quella mescolanza, la più abietta e inquinata fra le correnti che alimentavano il fiume fangoso che era l’America, la macchia più offensiva nel sangue di qualunque presunto uomo bianco, una contaminazione che faceva salire le sue esalazioni fino al cielo e violava ogni ordine morale, erano...

I negri.

[...]