Tullio Avoledo e Dmitry Glukhovski si rapportano in modo diverso al genere fantascientifico in generale e postapocalittico in particolare. Oltre alla sensibilità verso il problema nucleare, cosa avete in comune e in cosa siete diversi nell’approccio narrativo?
Il 2011 è stato l’anno in cui ho pubblicato due libri scritti per amicizia: Le radici del cielo con Dmitry e Un buon posto per morire a quattro mani con Davide “Boosta” Dileo. Due belle esperienze, due nuovi amici: un bilancio decisamente positivo.
Il motivo per cui ho accettato con entusiasmo di scrivere un libro per Dmitry è perché lo trovo terribilmente simpatico. Inoltre è una delle poche persone che conosco che sia davvero preoccupato per il futuro dell’umanità e non solo per il proprio futuro personale. E’ insomma quella che si dice una bella persona, intelligente e curiosa. Le nostre preoccupazioni verso il nucleare nascono da lontano, da prima che diventassimo genitori, ma il fatto di avere entrambi dei figli piccoli ci sensibilizza non poco sull’argomento.
Non posso giudicare lo stile di Dmitry perché l’ho letto solo in traduzione e non in originale (che è l’unico modo in cui secondo me si può giudicare un autore). Posso comunque dire con certezza che è uno stile molto diverso dal mio. Ma un altro dei motivi per cui ho scritto questo romanzo è perché non sono state poste barriere di stile. In altre parole, ero libero di scrivere come volevo. Diciamo che come scrittore io sono molto meno lineare di Glukhovsky: a esempio tendo ad incastrare l’uno nell’altro i tempi narrativi, facendo giocare l’uno con l’altro presente, passato e futuro. E diluisco le parti didascaliche all’interno dell’azione, mentre Dmitry le svolge come degli “a parte” che mi ricordano Jules Verne e H.G. Wells.
Di recente, lei è stato curatore della Biblioteca di fantascienza al Festival della Letteratura di Mantova. Oltre che esperto, è corretto definirla scrittore di fantascienza, oppure il termine è in qualche modo riduttivo?
Qualche tematica fantascientifica c’è in quasi tutti i miei libri, ma non mi considero uno scrittore di fantascienza tout court. A meno che non si ammetta una cosa di cui sono convinto, e cioè che è il mondo in cui viviamo, a essere fantascientifico.
Come vede la situazione della fantascienza in Italia? Se è un genere da considerare in crisi nell’ambito della narrativa di fantasia, quale è la malattia e quale la cura?
Il paradosso italiano è che i lettori più giovani, diciamo dai 40 anni in giù, sono del tutto a loro agio con tematiche come i viaggi nel tempo o le saghe interstellari, che hanno conosciuto attraverso i film o i videogiochi, ma non leggono fantascienza. E’ vero però che in Italia si legge poco, e quindi i lettori di fantascienza sono una minoranza nella minoranza. Ma credo che la scarsa dimestichezza del pubblico italiano con il genere sia dovuta essenzialmente al fatto che viene ancora considerata “letteratura da edicola”. Poco rispettabile, insomma. Bisognerebbe contare su un salto di qualità drastico, con qualche nuovo autore che faccia presa sui giovani com’è successo per Harry Potter, e magari – perché no? – sul cambio di nome del genere, come è avvenuto per i “gialli”, che da quando si chiamano “noir” hanno moltiplicato i loro lettori…
Quasi tutti i suoi romanzi parlano di universi distopici paralleli o “slittati”. Le radici del cielo è ambientato invece nel nostro mondo nel futuro: che effetto fa immaginare e in qualche modo dirigere la distruzione in casa propria?
Dovreste ringraziarmi tutti. Se l’Italia l’avesse distrutta uno scrittore tedesco, o francese, adesso i sopravvissuti sarebbero conciati molto peggio. Magari con un governo tecnico… Scherzi a parte: nel mio romanzo, rispetto alla Mosca di Glukhovsky, l’Italia è uscita benissimo dall’olocausto nucleare. Beh, insomma, benissimo… Diciamo che se l’è cavata meglio di altri posti. Anche perché sarebbe un bersaglio trascurabile. O almeno è così che la penso io. Quindi, al di là del fatto che è coperta di ghiaccio e cenere, la nostra penisola è ancora un posto che ti prende il cuore.
Vista la filosofia del progetto “Metro Universe” ho comunque approfittato con discrezione del diritto di prima scelta: nel senso che ho lasciato spazio ad altri narratori per immaginare il destino di città come Firenze, Napoli o Milano. Accomodatevi, colleghi scrittori: c’è posto per tutti.
Nei suoi libri si parla di nucleare, pulizia etnica, razzismo e politica con una certa presa di posizione. In quest’ultimo romanzo il tema è la fede, ma il finale ha un punto interrogativo. La terza strada scelta da padre Daniels verrà raccontata in un sequel oppure è l’autore a essere ancora in dubbio sulla risposta?
Mi piacerebbe davvero poter dare un seguito alla storia di John Daniels. Dipende dal giudizio dei lettori. Certo il suo viaggio di ritorno a Roma sarebbe interessante. Quanto alla risposta finale, sia io che lui dovremmo scoprirla lungo la strada.
Il postapocalittico è un tema ricorrente nella sensibilità collettiva ma ultimamente sembra che l’attrazione sia aumentata: come mai il pubblico e gli stessi autori si avvicinano così tanto a opere di questo taglio, non solo per la narrativa ma anche nella cinematografia, saggistica, inchieste etc?
Perché abbiamo, direi necessariamente, il senso della precarietà del cosiddetto “vivere civile” (che poi è tale solo per una minoranza, sulla faccia del pianeta). E perché Fukushima ci ha ricordato ancora una volta che nessuno è al sicuro. Il mondo immaginato da Cormac McCarthy nel romanzo La strada è terribilmente probabile. E’ questo, penso, a spaventarci: l’idea della fine di quel fragile equilibrio su cui si fonda la nostra società. E al tempo stesso, almeno per alcuni, c’è sicuramente la dolorosa percezione di quanto giusta, e quasi doverosa, sarebbe la fine di questo nostro assurdo modo di vivere senza pensare al domani.
Dmitri Glukhovski si può dire sia nato sulla rete, mentre Avoledo è uno scrittore (per ora) legato al tradizionale libro di carta: nel rapporto lettore/autore quali sono i lati positivi e negativi della comunicazione web?
In realtà uso da sempre le tecnologie informatiche per facilitarmi, tra le altre cose, il lavoro da scrittore. Non potrei farcela se non avessi il mio prezioso netbook formato tascabile che tiro fuori dallo zaino ogni volta che ho un minuto libero, o un’idea che non può attendere. Il web, poi, è una miniera di informazioni: a volte giuste, a volte sbagliate, ma di solito quelle migliori sono proprio queste ultime…
Non ho invece mai provato curiosità per i social network. Ma da qualche settimana ho cominciato a usare Twitter. Non so ancora però se è una cosa destinata a durare. E’ quasi più impegnativo di un cane.
Metro 2033 in italiano è disponibile gratuitamente on line, Metro 2034 lo sarà a breve. La stessa cosa avverrà per Le radici del cielo?
Certo. E’ la filosofia del “Metro Universe”.
Il libro al quale sta lavorando sembra ambientato in un altro degli universi paralleli distopici cui lei ci ha abituato, e ricorda un po’ Lo stato dell’Unione. Ci racconta qualcosa sul protagonista e l'ambientazione?
Sarà in qualche modo un seguito di quel libro, un “hard boiled” chandleriano ambientato in un presente alternativo in cui l’Italia è divisa in tre parti. Il protagonista sarà un poliziotto “padano” alle prese con trame molto, troppo più grandi di lui. Ma è ancora presto per parlarne. La storia è solo in embrione. Per ora posso dire che mi sto divertendo a scriverlo, e questo di solito è un buon segno.
In conclusione, nel duemiladodici secondo i Maia e Giacobbo finisce il mondo, e se lo dicono loro sicuramente è vero. Cosa ha messo nel suo kit di sopravvivenza postapocalittica?
Per prepararmi a scrivere “Metro 2033” mi sono procurato una maschera antigas dell’esercito russo, ma non ho comprato niente di speciale per l’Apocalisse. Penso comunque che nel 2012 mi porterò dietro un mazzo di carte da gioco, un coltellino svizzero e un chilo di aspirine: per i postumi della festa che faremo il 1° gennaio del 2013, alla faccia dei Maya e di chi gli vuol bene…
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