La storia di Enter the Void è abbastanza stringata.

Oscar (Nathaniel Brown) è un occidentale che vive a Tokyo con la sorella Linda (Paz de la Huerta). Sono due esistenze al margine della società. Lui è un piccolo spacciatore tossicomane, lei una spogliarellista. Hanno alle spalle una storia drammatica, dato che sono rimasti orfani da bambini e separati per molti anni.

Una sera Oscar viene intrappolato dalla polizia, che gli spara. Comincia a questo punto l'esperienza extracorporea del giovane, che da morto comincia a vagare per la città, seguendo le vicende della sorella dopo la sua morte, memore di una vecchia promessa per la quale non l'avrebbe mai abbandonata. A intervallare il racconto della vicenda attuale, narrata mostrando ciio che vede il giovane, con una tecnica che ricorda le sequenze in soggettiva di Strange Days di Katherine Bigelow, sono dei flashback sulla esistenza difficile dei due giovani.

Ma non è tutto così semplice. Il film è a tutti gli effetti allucinato e allucinogeno, con un impianto visivo disturbante, fatto di camera a mano, di vedute aeree e colori, suoni e luci psichedeliche, che martellano ossessivamente lo spettatore per oltre 150 minuti.

Anche la struttura delle sceneggiatura, non è lineare, non solo è intervallata da flashback, ma inoltre quando la storia torna su un punto apparentemente già trattato, presenta una visione leggermente diversa, come se guardassimo lo stesso punto trovandoci su un ramo diverso di una spirale.

Questa struttura a spirale diventa sempre più serrata, fino a un punto di accumulazione finale.

L'obiettivo, più o meno nascosto, è quello di trarre ispirazione dal Bardo Todol, Il Libro Tibetano dei Morti. La parola Bardo significa morte, trapasso. La parola Todol significa liberazione. Si tratta di un poema che narra per simboli, scritto in origine in lingua sanscrita, allo scopo di aiutare i vivi a compiere un viaggio interiore per arrivare alla liberazione dalla paura della morte.

E’ un libro che ha ispirato molti scrittori (in particolare Philip K. Dick), ma è stato anche un libro-guida per i viaggi psichedelici collettivi indotti dall’LSD, come quelli di Timothy Leary negli anni settanta. Anche Oscar infatti percorre questo solco, andando oltre il concetto metaforico di viaggio iniziatico, vivendo la sua esperienza mediante i trip allucinogeni che si procura con le droghe.

E' difficile inserire il film in un "genere". Anche se l'autore lo definisce "Melodramma psichedelico " personalmente lo classifico Fantastico perchè c'è il dubbio, la grossa ambiguità, che sia la coscienza di Oscar a percorrere la spirale, o forse no. E' un film che mi ha ricordato molto le sequenze finali di 2001 Odissea Nello Spazio di Stanley Kubrick, sia per la forte sollecitazione visiva. Ma mentre in quel caso si aveva la prospettiva di David Bowman, qui non siamo del tutto certi che Oscar nel film sia presente realmente, dal momento della sua morte. E' volutamente ambiguo il punto di vista. Se accettiamo l'idea che sia l'anima di Oscar a compiere il viaggio, potremmo anche credere di assistere a un film "realistico", visto che chi crede nell'anima non dona alcuna connotazione fantastica al concetto. Se siete più materialisti, e ritenete che con la morte si spenga tutto, potete classificare il tutto come un film sugli "spiriti".

Sono questioni filosoficamente impegnative. Non ne usciamo nello spazio di una recensione.

C'è da aggiungere, per aggiungere ulteriori elementi di ambiguità nella chiave di lettura del film,  che il protagonista all'inizio del film assume una dose di DMT (Dimetiltriptamina), una sostanza che il nostro cervello rilascia in caso di forte pericolo di vita, quando non in punto di morte, dagli effetti allucinogeni. 

Viene da chiedersi quanto sia "vero" e quanto allucinazione in quello che vediamo sullo schermo. Il dubbio ci viene instillato mediante uno dei personaggi comprimari, l'amico Alex (Cyril Roy) che racconta di aver persino creduto di parlare con personaggi immaginari sotto l'effetto delle droghe.

Da non trascurare anche le forti pulsioni sessuali che muovono i personaggi. Il sesso come forma di comunicazione tra i protagonisti della vicenda, pur se esplicito, riesce a non essere strumentale, anche se mostrato più che evocato.

Quello che è certo che si tratta di una visione impegnativa. Due ore e mezza di sperimentazioni visive e narrative, con immagini forti e disturbanti possono lasciare il segno. Gaspar Noé, regista del controverso Irréversible, ha realizzato un film che sopratutto è una esperienza che non lascia indifferente, che si amerà o si odierà a morte. C'è da aggiungere che, secondo me, anche chi lo ha amato non sarà facilmente disposto a rivederlo, non subito almeno, tanto i sensi sono stati impegnati e sollecitati. Non si può scalare l'Everest ogni giorno nella vita.

Anche la consueta valutazione delle sue componenti artistiche e tecniche, come la buona prova dei giovani attori (non professionisti tra l'altro), l'ottima fotografia e gli efficaci montaggi visivi e sonori lasciano un po' il tempo che trovano. Siamo davanti a un prodotto ben fatto questo è pacifico. Gli straordinari e arditi movimenti di macchina sono momenti di grande cinema. Se il film non è meno che ottimo è perché da questo punto di vista è un prodotto che alza l'asticella, ponendosi come metro di confronto.

Non vi sembri irriverente il paragone, se qualcuno ha definito Avatar come esempio di "trip" visivo fine a sè stesso, questo film è la versione più artigianale, ma più sporca e allucinata, dello stesso concetto di immersione visiva. E condivide con il film di Cameron una struttura narrativa volutamente esile, con personaggi poco più che stereotipati, che rafforza l'intento meramente visivo dell'operazione.

Certo, alcuni momenti danno l'impressione di ridondanze e didascalicità, un montaggio che sfrondi alcune ripetizioni avrebbe forse giovato alla fruizione del film. Ma non dubito che Noé, a differenza di Cameron, che ha creato comunque un prodotto rassicurante, non volesse invece disturbare il suo ideale spettatore di riferimento.

Quello che può in realtà inficia il giudizio finale è quanto impatto il film ha avuto quindi nello spettatore, rispetto alle sue aspettative.

Chi nel cinema soddisfa un legittimo bisogno di evasione, è meglio che veda altro. Chi vive il cinema con curiosità e non solo come forma di facile svago deve vederlo, anche solo per farsi una propria idea. Però fare meglio ad affrettarsi. Una uscita tardiva e quasi insperata (il film è del 2009) piazzata il 9 dicembre, a ridosso della stagione natalizia, fa ritenere che rimarrà in programmazione per poco.