E in quell’istante, sentendosi contro di me, tu con la tua ostinata cocciuta decisione di vivere, ho cominciato ad amarti. La mia bambina. La mia bambina invincibile. Non era più senso del dovere, non era l’orrore per l’assassinio che stavo per commettere, che avevo già commesso. Ti volevo. Ti ho amata. Sono stata grata per essere arrivata in tempo, insieme alla vergogna per il gesto c’è stata una tale gioia per averti salvata che la gratitudine per la tua salvezza è diventata gratitudine per la tua esistenza.

E poi volevo di nuovo sentire la bollicina di felicità che ti riempiva quando ti tenevo vicina.

Una volta tornata in alto, ho fatto quello che andava fatto. Ho bruciato, per scaldarti, un’antica arpa di inestimabile valore, pergamene che così sono state perse per sempre. Nulla era prezioso come il tuo respiro. Nulla era importante come il calore che ricominciava a riempirti. Il tuo pianto è cessato. Finalmente eri sprofondata nella beatitudine del sonno.

Il principe, quando fosse venuto, avrebbe trovato entrambe. E avrebbe dovuto amarti, e molto, se voleva essere accolto.

Che tu somigliassi a un uomo ignobile è diventato senza importanza. Tu eri mia, la mia bambina. Per sempre tu ed io facevamo un noi.

Ti ho abbracciato.

Ti ho stretto.

La mia bambina.

E appena ho imparato ad amarti, ti ho perso.

Il mio sposo è giunto alla fine, e ha capito che tu ed io facevamo un noi, ormai inscindibile, e poi tutto è precipitato.

Ed io ti ho dato via.

Il noi si è spezzato.

3

Ti ho dato via, nelle braccia di un uomo buono, certo, ma non erano le mie. Dove avranno trovato il latte? Capiranno che hai bisogno di sentire cantare per addormentarti? Lo sapranno? E conosceranno almeno una canzone?

Hai il mio sangue, la memoria assoluta, so che mi ricorderai.

Saprai che ti ho abbandonata solo perché la tua vita fosse salvata? Non c’è stato un solo istante in cui non ti abbia pensata.

Sono stata catturata, ma non subito.

L’eroismo dell’uomo che ti ha generata, mi ha regalato un giorno. Io e il mio principe siamo stati uno.

Poi l’orrore ha travolto il mondo.

Ho visto il sangue del mio sposo, ho visto la sua morte.

Ho raggiunto trascinandomi un luogo di inferno dove ancora vivevano e respiravano allampanate scheletriche creature una delle quali era mia madre. Anche io sarei diventata una di loro.

Ho conosciuto la fame.

Ho conosciuto l’angoscia di strapparsi, l'una contro l'altra, un ravanello, un pezzo di patata marcita.

Ho conosciuto l’angoscia di vedere nel mio ventre formarsi una vita che non sapevo come nutrire e che non avevo la forza di proteggere. Anche allora, ogni istante, ho pensato a te.

Quando il tuo fratellino è nato, mia adorata bambina, non ho avuto paura.

Sapevo che un destino per lui era scritto. Sapevo che avrebbe rifondato una stirpe.

Era ricordato in tutte le profezie. Lui si sarebbe chiamato Yorsh, il più grande e l’ultimo della stirpe degli elfi.

Una dopo l’altra tutte la prigioniere sono morte. E alla fine è stato il mio turno. Mia madre è stata l’ultima sopravvissuta, ha accompagnato Yorsh fino ai suoi tre anni, dandogli il suo cibo, fino a non poter nemmeno reggersi in piedi. Quando finalmente un’inondazione ha travolto il mondo, è riuscita a dargli l’ordine di mettersi in salvo. Solo. Lei non si reggeva più in piedi per l’inedia.

L’ultimo degli elfi. Mio figlio.

Un bimbo disperso in un mondo di fame e di fango e di odio.

Tutto quello che aveva, era un sacchetto di velluto azzurro, con dentro un cavallino di legno, un libro perché mai dimenticasse la sua lingua e una trottola che girando formava la spirale aurea, il simbolo elfico dell’infinito. Era l’unico bambino nato nel campo. Tutte le prigioniere avevano dato i loro ultimi beni pericolosamente sottratti alle ispezioni, un pezzo di filo, un pezzo di legno, un pezzo di stoffa, ore di lavoro, perché quei minuscoli doni potessero essere creati.

E’ stato sufficiente perché mio figlio ricordasse il suo popolo e ne ricreasse la magia per il mondo degli uomini.

Sono nata in una notte di inverno mentre la bufera infuriava e la neve imbiancava il mondo. Sono nata nel castello di mio padre. Era un castello circolare circondato da un fossato talmente profondo che si diceva fosse stato scavato all’epoca dei giganti. Nei tempi dello splendore il fossato e le mura erano stati inviolabili.

Sono nata in una notte di inverno, il gelo riempiva il cuore del mio popolo condannato a morte: avremmo voluto strapparcelo e mettere al suo posto una pietra, avremmo voluto strapparci gli occhi per non vedere le ossa dei figli bambini che morivano di stenti con il viso sfigurato dai morsi delle cimici, avremmo voluto strapparci gli occhi per non vedere i roghi. Le prime parole che ho sentito sono state insieme di gioia e dolore, la gioia per una nuova vita, il dolore per il destino che mi attendeva, in un’epoca atroce senza più alcuna speranza.