CAPITOLO I
DRAMATIS PERSONAE
Cambridge, Inghilterra orientale, ore 15:25
Era la prima volta che un temporale di quella portata si abbatteva su Cambridge. Per tutta la notte il cielo aveva rombato come un enorme stomaco affamato, ma solo pochi minuti prima che le lancette dell’orologio del Trinity College segnassero le 5:00 aveva cominciato a diluviare. In un domino di luci elettriche tremolanti, una lunga spina dorsale che attraversava la città fino alle distese erbose dei Fens, Cambridge si era svegliata immersa in trenta centimetri d’acqua.
Alle 9:57 il corso inferiore del fiume Cam era straripato, travolgendo le houseboats in prossimità degli argini. Alle 12:03 i gabinetti dell’ala ovest del Corpus Christi College avevano rigurgitato una condensa fangosa che aveva inondato le sale comuni e le stanze degli studenti. Uno di loro, Kenny Braxton, si sarebbe ricordato di quel giorno vent’anni dopo di fronte ai giurati che gli assegnavano il Nobel per la pace.
Nel primo pomeriggio il vento aveva cominciato a intensificarsi. Alle 14:02 aveva raggiunto le centocinquanta miglia orarie, che erano diventate centosettanta alle 14:09. Alle 14:30 un automezzo che trasportava pollame si era ribaltato sull’asfalto viscido della M11, provocando un tragico tamponamento a catena.
Alle 15:25 Toby Rice si apprestava a lasciare Cambridge per tornare a casa.
Toby si trascinò in direzione della stazione ferroviaria, riparandosi dalla pioggia con un ombrello che la furia del vento aveva sbrindellato. Quando giunse nell’atrio una voce metallica annunciò la partenza imminente del treno diretto a Stratford-upon-Avon. Toby cominciò a correre.
Si caracollò nel sottopassaggio e ci mancò poco che le suole consumate delle sue sneakers scivolassero sui gradini resi scivolosi dall’acqua. Timbrò il biglietto senza fermarsi e pattinò fino alle scale che conducevano sul terzo binario; le risalì con grandi falcate, quindi si precipitò alla carrozza più vicina. Riuscì a salirvi un attimo prima che la porta si chiudesse alle sue spalle. Con un cigolio lamentoso il treno cominciò a muoversi.
Toby trafelò di sollievo. Era zuppo d’acqua fin dentro i calzini, ma non gli importava. Se fosse rimasto a terra, i suoi guai sarebbero stati ben peggiori.
Si lasciò cadere sul primo dei tanti sedili vuoti, alla sua immediata sinistra. Osservò il profilo accademico di Cambridge scivolare al di là dei binari, fino a quando le case con i tetti di ardesia divennero sempre più sporadiche, e la campagna prese il posto dell’asfalto. Quando il treno passò sotto un cavalcavia il paesaggio scomparve: sul vetro rigato dalla pioggia prese forma il contorno opalescente di un volto dai lineamenti regolari, incorniciato da una piccola chioma bagnata di capelli castani. Toby osservò pensieroso il suo riflesso, prima che si dissolvesse nuovamente nell’ultima, debole luce del giorno. Al ritmo cadenzato dello sferragliare del treno sui binari, si addormentò.
Poco dopo ebbe l’impressione di svegliarsi al rumore cigolante di una porta. Dietro le palpebre chiuse, Toby mise a fuoco le iridi: all’estremità opposta della carrozza era comparsa una figura decisamente singolare.
Si trattava di una sagoma piccola e leggermente ricurva, avvolta in una veste nera integrale che la faceva assomigliare a una macchia scura in movimento, simile a un’ombra. Toby la vide voltarsi a sinistra e a destra, nell’atteggiamento di chi è in cerca di qualcosa, o di qualcuno. L’ombra avanzò di pochi passi, prima di fermarsi accanto a un ragazzo che aveva il capo reclinato sul poggiatesta. Lo studiò per quelli che a Toby sembrarono minuti, prima di passare a esaminare il passeggero che occupava il sedile dirimpetto.
Dentro la sua testa, Toby strizzò le palpebre. Quando le riaprì, l’ombra era scomparsa. Un attimo dopo ricomparve: la vide restringersi all’inverosimile fino a passare nell’interstizio tra due sedili, prima di scivolare di nuovo nel centro del corridoio e riacquisire la forma normale.
All’improvviso Toby ebbe paura. Dalla sua bocca si liberò un gemito di protesta, così istintivo che non riuscì a soffocarlo. Nella carrozza echeggiò in risposta un rumore cupo, come il gorgoglio dell’acqua in un condotto intasato dalla sporcizia.
L’ombra si era accorta di lui.
Toby serrò la mascella e cominciò ad ansimare. Qualcosa nella sua testa gli diceva che era tutta una finzione, che se lo voleva veramente quell’immagine distorta sarebbe stata risucchiata via sul fondo dei suoi occhi. Ma qualcos’altro, forse la stanchezza accumulata nei tre giorni di visita al college in cui avrebbe studiato, lo teneva ancorato alle redini di quella visione.
L’ombra cominciò ad avvicinarsi a Toby, ma non dava l’impressione di camminare. Piuttosto era come se sotto i suoi piedi, anch’essi celati dalla veste nera, ci fosse un tappeto semovente. Toby vide se stesso dall’esterno stringere i braccioli del sedile e puntare i piedi sul pavimento. Fu questione di pochi istanti: l’ombra balzò verso di lui come una macchinetta a molla, atterrando a meno di un metro dal suo sedile.
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