Nel momento stesso in cui l’ombra si abbassava il cappuccio, Toby aprì gli occhi.

Inghiottì aria con la bramosia di un sub scampato per un soffio all’annegamento. Si guardò attorno, questa volta da sveglio: di fronte a lui non c’era nessuno. La porta all’estremità opposta della carrozza era chiusa e nessuna strana figura stava attraversando il corridoio. Fuori, al di là dei finestrini rigati dalla pioggia, continuava a scorrere veloce la campagna alluvionata del Cambridgeshire. La giornata si stava spegnendo inesorabilmente al di qua dell’orizzonte.

 Toby respirò di sollievo. Era stato solo un sogno.

 La visuale al suo fianco si oscurò all’improvviso.  Toby si girò di scatto alla sua destra, dove un donnone nero in divisa da controllore lo fissava sorridente. In realtà solo le sue labbra sorridevano, i suoi occhi erano spenti, come quelli di un robot. Toby constatò che i seni le penzolavano quasi fino all’altezza dell’ombelico, dove il ventre le si gonfiava fino al punto da lasciare sospettare che i bottoni della sua divisa rossa e argento potessero zampillare da un momento all’altro.

L’attenzione di Toby si concentrò poi sulle sue grosse nocche, che avevano cominciato ad allentarsi e a stringersi sulla pinza obliteratrice stretta nel pugno. Lo aprì e lo chiuse. Lo riaprì e lo richiuse.

Clic-clac, clic-clac.

Toby si sfilò il biglietto dalla tasca posteriore dei jeans. Lo porse al donnone, che lo afferrò e lo osservò attentamente rigirandoselo tra le mani. Glielo rese senza forarlo.

Si stava allontanando, quando Toby le rivolse la parola. Non sapeva bene perché lo stesse facendo, ma così si sentiva di fare in quel momento. Il donnone si voltò. Aveva ancora stampato sul viso il suo sorriso spento.

“Mi scusi… io… ho avuto l’impressione di vedere una…”

Era un sogno, stupido.

“Una persona vestita con…”

Ma sembrava così reale.

“Sembrava stesse cercando qualcuno.”

La donna cannone esplose. Prima masticò un risolino sottile, gutturale, simile a un rantolio. Un attimo dopo diede in una risata tonante, tanto che la gola le si gonfiò come quella di un rospo e gli occhi le fuoriuscirono appena dalle orbite, rivelando una trama di piccole vene gialle tutt’intorno all’iride.

“Oh, marameo” biascicò e cominciò a guardare in alto e sventolarsi la mano davanti al viso. Si sfilò dalla tasca un fazzoletto con cui prese ad asciugarsi le lacrime. Quando lo aprì, Toby riconobbe nel disegno ricamato nell’angolo a sinistra un coniglio che sbucava da un ovetto pasquale.

Il donnone si allontanò singhiozzando e barcollando.

Un tuono crepitò nel cielo, scuotendo Toby dal turbinio dei suoi pensieri. Guardò fuori, sconsolato. La pioggia si stava infittendo, come se l’avvicinarsi della notte le desse nuovo vigore. Un albero spoglio e secco comparve e scomparve al di là del finestrino. Per uno strano gioco di associazioni mentali Toby pensò a sua madre, che a casa stava terminando i preparativi per il compleanno di Emily. E pensò a Emily, sua sorella di sette anni, che trotterellava felice per il salotto, in fremente attesa.

Toby si allungò sul sedile, alla ricerca di una posizione comoda. Quando fosse arrivato a Stratford-upon-Avon, tutto sarebbe stato pronto. Sarebbero venuti gli ospiti e la casa si sarebbe riempita di parole e risa. Si sarebbe mangiato e bevuto e tutti sarebbero stati felici. Molto felici.

La festa stava per cominciare.

Piccadilly Circus, Londra, ore 17:55

Laura Becket camminava a passo svelto sotto le insegne luminose del Trocadero Centre, divincolandosi tra la gente che affollava le strade del cuore pulsante di Londra.

Una folata improvvisa le fece ondeggiare i lunghi capelli castani ai lati del volto e sulla schiena. Laura alzò gli occhi al cielo: grandi ammassi di nuvole si stavano serrando tra di loro come le tessere di un puzzle, compatte e scure. Li riabbassò quando alcune goccioline d’acqua le bagnarono la fronte e le labbra.

Un fulmine spaccò in due l’orizzonte. Ne seguì un tuono roboante che trasformò il ticchettio della pioggia in tamburellio, che divenne scroscio. In pochi minuti, il traffico nella City si congestionò. A metà strada dal Flounders, il ristorante in cui lavorava come cameriera, Laura cominciò a correre.

Riparandosi la testa con il tascapane attraversò a grandi falcate Leicester Square, dove gli artisti di strada stavano sbaraccando in fretta la propria roba. Imboccò Charing Cross Road e da lì si caracollò su Long Acre, prima di svoltare a destra in Garrick Street. Superò l’ingresso principale del Flounders e si infilò nel cul-de-sac che conduceva nel cubicolo adibito a spogliatoio del personale di servizio. Una volta dentro, Laura tirò il fiato.