CAPITOLO 1
Il suo nome un tempo era stato Galasien, città di ampie strade e prosperi mercati, banchine affollate di imbarcazioni con vele dai colori vivaci. I templi delle divinità e degli eroi, con gli altari fumanti per le offerte d’incenso, avevano vigilato sul commercio e sulla politica, sui nobili, gli operai e i contadini in egual misura, favorendo una prosperità piacevole e duratura.
Il suo nome sotto i signori Sihhë era stato Ynefel. Sotto quel nome vi avevano regnato per nove secoli quattro torri, mentre la foresta si avvicinava minacciosa. Quella che era stata la cittadella dei Galasieni, non era più in quegli anni il cuore della città, ma un torrione circondato da rovine, roccaforte dei re stranieri Sihhë, sotto la cui guida le rive del fiume Lenúalim avevano conosciuto un regno dal potere mai visto prima e di vasta portata, un regno oscuro fin dal principio, e ancora di più nella sua disgrazia.
Ora la foresta scalzava le pietre delle vecchie strade. Mora e ginestrone soffocavano le mura ancora in piedi delle rovine Galasieni, more che fornivano nutrimento agli uccelli che abitavano le alte torri. L’antica e oscura foresta, di querce cresciute da tempo e insidiate da vischio e viticci, cingeva le ultime torri di Ynefel da ogni lato a parte quello del fiume.
Da quella foresta giungeva ormai solo il ricordo di una strada, che attraversava il fantasma di un ponte franato e più volte riparato. Il Lenúalim, che scorreva torbido tra le pietre erose e ricoperte di muschio di quelle che erano state le banchine, trasportava solo rottami nelle sue inondazioni sporadiche. Regni di una terza e più giovane èra prosperavano sulle rive più a nord e più a sud del Lenúalim, ma raramente gli uomini di quelle giovani terre avevano motivo di avventurarsi in questo luogo infestato. A sud di quelle terre si trovava il mare, mentre a nord, alla sorgente del Lenúalim, si trovavano le terre più antiche di tutte, terre di origine leggendaria per i Galasieni scomparsi e per i Sihhë: le Colline d’Ombra, i picchi minacciosi dell’Hafsandyr, le terre della leggendaria Arachim e le vaste lande desolate dove il ghiaccio non allentava mai la presa.
Forse quei luoghi esistevano ancora. Ma nessuna nave dalle vele nere era giunta dal nord in questa terza era, e le banchine di Ynefel si erano da tempo ridotte a pietre franate, scivolose di muschio, seppellite dal fango, ricoperte di alberi e irriconoscibili, almeno dalla foresta.
Che il nome fosse Galasien o Ynefel, era diventato un luogo fantasma ricordo di un’èra fantasma, con le torri sopravvissute alle intemperie in rovina e poste in equilibrio sulla roccia che un tempo era stata la base di una grande cittadella. La sede del potere di due ère di magia era diventata, nel presente regno degli uomini, un luogo di illusioni curiose e inquietanti. Ynefel, sommersa dagli alberi nel suo mare di foresta, era l’ultimo o il primo avamposto delle Terre Antiche... il primo, se ci si trovava a fronteggiare l’ovest, dove erano caduti gli antichi signori del mare e regnavano nuovi sovrani, lesti a dimenticarsi di essere stati servitori dei Sihhë; oppure l’ultimo angolo di un mondo antico, se si volgeva lo sguardo a nord e a est verso Elwynor e Amefel, che si trovavano oltre i meandri del Lenúalim e dopo la Foresta di Marna.
Solamente in quei due distretti dell’est le colline in rovina mantenevano i loro antichi nomi Galasieni. In quelle terre abitate da nuovi ricchi, rimanevano, anche se pochi e nascosti sulle colline, templi di campagna dedicati alle Diciannove divinità dei Galasieni, mentre a Elwynor i governatori si facevano ancora chiamare Reggenti, in ricordo dei re Sihhë.
Oggi a Ynefel, gli uccelli rubavano more e costruivano i propri nidi sparsi fra le grondaie e i sottotetti. Una colonia di rondoni alloggiava in un grande camino e un’altra nel salone a volta dei re Sihhë. La pioggia e gli anni avevano eroso gli strani volti che sporgevano dai muri restanti. Volti di gargoyle – volti di eroi, volti di gente comune e dei potenti della Galasien perduta – decoravano gli arzigogolati collegamenti tra le torri e i cancelli traballanti, frammenti di statue che per un curioso
capriccio sembravano guardare fisso dalle mura dell’attuale fortezza: alcuni ridevano, alcuni sorridevano con malizia, e alcuni, i volti dei re scomparsi di Galasien, erano ciechi e sereni.
Questo era il panorama che si scorgeva alzando lo sguardo dalle mura di Ynefel.
Questo era il panorama che un anziano uomo con la barba stava fissando: la situazione in cui viveva, curvo e solitario.
E, dopo aver giudicato gli indizi della stagione e delle nuvole, il cielo plumbeo del crepuscolo, l’uomo aggrottò le sopracciglia e iniziò a scendere velocemente i gradini traballanti, ben conscio dei pericoli delle ultime ore di luce, dello strisciare delle Ombre fra i tetti e i numerosi timpani. Non le tentò ulteriormente. L’età era diventata un peso per lui. Il suo potere, che aveva tenuto a bada l’avanzare degli anni e le Ombre, stava svanendo, e sarebbe svanito ancora più in fretta una volta
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