A giorni fissi invita degli ospiti per giocare a domino o a bridge, oppure per assistere alle serate musicali. Istintivamente reazionaria, è orgogliosa del suo attaccamento all’Ancien Régime.

Gli amici di cui si circonda devono avere per forza la sua stessa opinione. Compreso il prete. La Chiesa, ne è convinta, non può che pensarla come lei. I marmi della cappella, non a caso, sono

ornati di gigli, simbolo della monarchia borbonica. Il povero curato Montessuy non osa contraddirla. Quale membro onorario di palazzo Tricaud, accetta suo malgrado i modi perentori con cui,

la sera dopo cena, l’anziana signora recita le preghiere in latino. E sebbene egli sia il suo confessore personale, deve tollerare le lezioni che la contessa gli tiene sul modo di rapportarsi ai borghigiani.

Solo una volta père François ha osato opporsi al dispotismo di Madame de Lestrange: quando nel corso di una delle sue reprimende si è permessa di dire che il sacerdote frequenta la sua casa solo per mangiare a ufo e bere l’acquavite. Il sacerdote ha lasciato arrabbiatissimo il castello e non si è ripresentato a palazzo se non dopo l’intervento di un emissario di pace.

Questo prete ha un ruolo non secondario nell’infanzia di Antoine. Nella chiesa parrocchiale i primi banchi sono riservati alla famiglia della contessa. Sua nipote Marie, la mamma di Antoine, suona l’harmonium e dirige il coro delle bambine. A Tonio i sermoni, pronunciati in stile fiorito, sembrano interminabili.

Montessuy, però, è qualcosa di più di un semplice curato di campagna. Possiede un’ampia cultura grazie ad anni di studi a Parigi ed è stato insegnante di matematica in una famiglia borghese di Bourg-en-Bresse, prima di lasciare il capoluogo dipartimentale per motivi di salute. Forse c’è lo zampino dell’influente castellana, in ottimi rapporti col vescovo di Belley, nella sua assegnazione a

Saint-Maurice. 

Paziente con la Tante, il sacerdote lo è ancor di più con i nipotini. Con loro si intende a meraviglia, forse perché sia l’uno che gli altri subiscono il dispotismo della contessa. La poesiola citata all’inizio di questo capitolo dimostra il grado di confidenza che si è instaurato tra i piccoli Saint-Exupéry e il curato, che sopporta di buon grado gli scherzi e le facezie. In un’occasione assaggia, senza batter ciglio e tra le risate generali, un corvo arrosto che Antoine gli ha presentato a tavola come fosse un pollo. Tolleranza a parte, il prete ha delle buone armi per conquistare i ragazzi, come il suo talento al biliardo. Il tavolo da gioco si trova nella biblioteca ed è lì, tra i grandi armadi vetrati colmi di libri, che padre Montessuy può sfoggiare l’inesauribile repertorio di colpi e di giocate. Man mano che i bambini crescono li accompagna nelle loro prime escursioni a cavallo, o in calesse sull’altipiano di La Dombes. Nel 1911, nel corso di una delle micidiali siccità che segnerà le estati precedenti allo scoppio della Grande Guerra, père François ne escogita una delle sue e trasforma i bambini in scultori, utilizzando il fango delle rive dell’Ain per creare i busti degli invitati che la Tante fa venire a palazzo. Antoine prova a scolpire anche il volto del curato, che risulta però un modello ostico, specie per la forma della bocca. E allora il ragazzo, con licenza d’artista, gli inventa una faccia barbuta.

In casa i marmocchi crescono sotto la sorveglianza della bambinaia austriaca Paula Hentschel, che racconta loro antiche fiabe tirolesi mentre alimenta il fuoco del camino. Lo scrittore la menzionerà in Pilota di guerra, anche se di quella donna – preciserà – ha solo «il ricordo di un ricordo»4. Paula lascia i Saint-Exupéry subito dopo la morte di Monsieur Jean. Quando questi muore all’improvviso, il 14 marzo del 1904, è lei con i bambini a la Môle, mentre dal terrazzo guardano l’orizzonte e attendono invano il rientro del loro papà. La scomparsa del capofamiglia modifica l’assetto dei Saint-Exupéry e Paula si trasferisce in Baviera, presso il castello di Egglkofen, al servizio della contessa von Montgelas. Ma dalla Germania, durante le feste di Natale, le sue lettere suscitano grande gioia nei bambini. La ricordano appena ma la immaginano in un minuscolo chalet, affacciata alla porta e sorridente sotto il cielo limpido delle sue montagne. Appena Tonio impara a tenere la penna in mano, è spronato a scrivere delle lettere alla Fräulein:

Io le dicevo: «Mia cara Paula, sono molto contento di scrivervi...».

Erano un po’ come delle preghiere perché non la conoscevo5.

Eppure il suo ricordo rimanda a un ben tenero amore.

Mia madre ci diceva: «Paula scrive che vi abbracci tutti per parte sua...». E mamma ci abbracciava tutti per lei. 

– Paula sa che sono cresciuto?

– Certo, lo sa.

Paula sapeva tutto6.

Tanti anni dopo, mentre conduce il suo aereo sui cieli di Arras cercando di schivare i colpi della contraerea, il pilota immagina di parlare alla vecchia custode della sua fanciullezza: