Esseri poco indulgenti, sempre pronti a imporre la propria autorità, a giudicare e a punire. I balocchi sono sistemati nella fredda sala d’ingresso, in quattro lunghe cassapanche. Durante i loro giochi i fratelli sentono marciare gli zii in lungo e in largo. In particolare zio Hubert è per Antoine l’immagine stessa della severità, anzi «un delegato della giustizia divina»13.
Quest’uomo, che non diede mai un buffetto a un bambino, mi ripeteva, aggrottando le terribili sopracciglia, in occasione di ognuno dei miei crimini: «La prossima volta che andrò in America porterò una macchina per frustare. Hanno perfezionato tutto in America.
Per questo i bambini, laggiù, sono la saggezza personificata. E anche un gran riposo per i genitori...»14.
Dalla sala da pranzo arriva l’eco di seriosi discorsi e nel salone ci si appresta a iniziare il misterioso gioco del bridge. Quelle voci imperscrutabili seguono i bambini fino al loro rientro in camera per la notte, mentre percorrono i corridoi dove la luce incerta dei lumi rimbalza sui muri e crea figure inquietanti. Qualche brivido attraversa la schiena quando passano davanti alla boiserie che nasconde l’ingresso alla cappella. Che posto misterioso!
Mentre è a letto Antoine scruta le stelle che fanno capolino tra le pieghe delle tende. Dalla profondità del palazzo risuonano ancora le voci dei grandi. Loro si atteggiano a sapienti ma non hanno chiaroveggenza. I bambini, invece, sanno vedere oltre. È un gran tesoro quell’armadio pieno di uniformi militari del padre. O quel libro trovato in soffitta, nel vecchio baule. Antoine sa appena sillabare ma lo legge tutto, dalla prima all’ultima pagina, anche se è un manuale per la produzione del vino!
Ancor più della casa, il regno dei piccoli Saint-Exupéry è il parco, coi vasti prati, l’orto, i boschetti di abeti dove si possono inventare mille nascondigli. Un vero regno dell’avventura e della fantasia. Lì ogni cosa viene mutata, anzi trasfigurata. Antoine crea il suo «ufficio» con una cassa poggiata su due rami d’abete, dove progetta macchine volanti. In Pilota di guerra cita un gioco di quel periodo; consiste nello schivare i goccioloni durante gli improvvisi temporali estivi. Ognuno corre a perdifiato dal fondo del parco verso la casa, mentre le gocce, pesanti e distanziate, cominciano a cadere puntuali dopo il fragore dei tuoni. Il primo che viene raggiunto da una goccia si dichiara sconfitto. Poi il secondo, il terzo... L’ultimo sopravvissuto è considerato un pupillo degli dei, l’invulnerabile, e ha diritto fino al prossimo acquazzone al titolo di «cavaliere Aklin»15.
Resterà questo, per sempre, il giardino incantato di Antoine.
Gli animali di Biche, i ricami di Monot, le letture e gli acquerelli della mamma. Tutto è dolce nel ricordo, anche se l’erba e i fiori gli provocano spesso il raffreddore allergico che lo costringe a restare relegato in biblioteca. Da Saint-Maurice vede stagliarsi sulla collina la torre di Saint-Denis, che si erge come una sentinella all’ingresso della stretta vallata. Più in fondo, tra i fitti boschi, c’è la severa fortezza degli Allymes, da dove i signori del Medioevo controllavano il corso dell’Ain. Le sensazioni che questi luoghi trasmettono al piccolo Antoine torneranno a galla negli scritti di Saint-Exupéry, da Corriere del Sud fino alle ultime pagine di Cittadella. E in Pilota di guerra scriverà:
L’infanzia, questo grande territorio da dove ognuno è uscito. Di dove sono? Sono della mia infanzia come di un paese16.
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