“Le membrane che ci separano dalla follia, dal baratro, dai mostri sono così sottili. Nient’altro che muri di carta”. [J.A.Lindqvist]
Un amore che non può morire, una donna indotta a varcare il proprio confine, palazzi grigi di periferia infestati da orrori alieni, creature ultraumane terribili (o umane ancora più terribili), giochi infantili che fanno tenere gli occhi sbarrati nel buio.
Il tutto nella quotidianità di esistenze in bianco e nero, dove il sovrannaturale può essere l’unico riscatto, dove gli interstizi fra reale e irreale, normalità e incubo, sono al di là di una parete molto sottile. E tutt’altro che vuoti.
Questo è il tema portante in Muri di Carta, raccolta di undici racconti firmata John Ajvide Lindqvist.
Nonostante il filo conduttore, Muri di Carta ha un effetto polifonico: voci diverse parlano di amore e morte, di solitudine e follia, di rabbia e paura. Il concetto di muro/parete – simbolo di contatto più che di divisione – affiora in tutte le sfumature: è più che concreto nel racconto che dà il titolo alla raccolta, compare in Villaggio in altezza, si rivela come fragile barriera psicologica alla follia in Equinozio, esplode come rivolta sociale in Majken.
Altro elemento caro all’autore svedese è il mare come simbolo di morte: elemento cardine in Il porto degli spiriti, è preannunciato qui in Eterno/Amore.
Non mancano riferimenti espliciti ai romanzi più famosi, dei quali possiamo leggere le appendici conclusive. Lasciamo morire i vecchi sogni offre, fra le righe, la risposta all’interrogativo che ogni lettore di Lasciami entrare si è posto: cosa succederà a Oskar ed Eli, in fuga su quel treno?
I due ragazzi, qui non sono protagonisti ma ombre inquietanti sullo sfondo di un’altra storia ambientata sempre a Blackeberg e strettamente collegata alla loro.
La soluzione finale, epilogo di L’estate dei morti viventi - con le sue novantacinque pagine, più un romanzo breve che un racconto – sembra soffrire della sindrome di “vi devo dire assolutamente cosa succede”, ma contiene un guizzo immaginativo riguardo alla figura della Grande Mietitrice veramente degno di nota.
Accanto ai cosiddetti umani, i protagonisti di queste escursioni in un mondo dark appena dietro l’angolo sono vampiri, spettri, creature del mito, automi viventi, zombie, mostri lovecraftiani, non relegati in chissà quale mondo secondario, bensì con un loro spazio nella realtà di tutti i giorni: di tale realtà, sono molto spesso la componente meno spaventosa.
Lindqvist è stato spesso paragonato a Stephen King per la sua capacità di trasferire l’horror nel quotidiano, ma esiste una differenza sostanziale: come è stato detto più volte, molte delle opere del Re del Maine possono essere riassunte in una frase: “Era una bellissima giornata… poi arrivò il Male”.
Se questo è vero per King, siamo lontani anni luce dall’autore svedese. Nelle opere di Lindqvist, il Male è già lì, prima della comparsa dell’incubo. O meglio, quotidiano e incubo sono termini interscambiabili e l’interrogativo da porsi è se il vero “mostro” sia quello fuori o quello dentro di noi.
Tra i racconti proposti, uno in particolare offre un'esperienza significativa per l'appassionato di genere: Majken: versione dark di una coppia Thelma - Louise in cui la gioia di vivere è sparita da tempo, risponde a una domanda fondamentale al di là di ogni etica e morale: te lo sei meritato, qualsiasi cosa sia? Nel racconto di Lindqvist la risposta è sì. La conseguenza è allora facciamolo, qualsiasi cosa sia.
L'elemento notevole è che questo racconto non contiene nessun aspetto fantastico classico, eppure il suo svolgimento straniante fa oscillare in continuazione dal reale all'irreale e rende la trama inquietante quanto le altre presenti nell'antologia: se siamo vampiri, uccidiamo. Se sfidiamo la morte forse moriamo, se vogliamo vivere con la V maiuscola possiamo riuscirci almeno per un giorno, come persone, come morti che ritornano o come copie imperfette dell'essere umano.
Le undici storie di questa antologia non sono omogenee nemmeno come riuscita: accanto a piccoli gioielli di narrativa troviamo racconti dove il mordente non è al massimo (Non si vede, non c’è!) o semi-incomprensibili (Poterti abbracciare a tempo di musica - di cui nessun lettore sembra aver capito il senso), o caratterizzati da una psicologia molto contorta. Tuttavia, questo aspetto è trascurabile nella valutazione complessiva.
Il sapore che resta a lettura conclusa è il piacere di un brivido lungo la schiena: l'horror di Lindqvist non ha bisogno di lame o motoseghe, è qualcosa di più sottile, si insinua vicino a noi, tocca la nostra realtà, è pericoloso.
Quindi, lasciamo pure morire i vecchi sogni: gli incubi sono meglio.
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