Anche nel 1576 l'aria a Milano era fetida.
Non per il traffico veicolare ovviamente, ma per i roghi accesi per bruciare le vittime della peste che affliggeva la città. Il periodo storico è quello che viene ricordato come "la peste di San Carlo", che colpì Milano proprio durante il mandato di Carlo Borromeo, da non confondersi con l'epidemia descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, che è del 1630.
In quello che all'epoca era il Ducato di Milano la vita non sembra molto diversa da quella attuale, peste a parte. La città è brulicante e frenetica, è tutta un cantiere, tra i quali spicca quello del Duomo, e vi si compiono delitti, anche efferati, dei quali si occupano i Notai Criminali, in particolare Niccolò Taverna, che nella stessa giornata colleziona due incarichi molto delicati: il furto del candelabro di Benvenuto Cellini al Duomo e un omicidio eccellente, nientemeno che il Commissario Inquisitoriale Bernardino da Savona.
Da qui inizia, cadenzata dal ritmo delle ore del giorno, la ricerca dei colpevoli, che porterà Niccolò a incontrare altri personaggi, a fare scoperte inaspettate e a dipanare l'intricata matassa, rischiando anche la vita, come è d'obbligo in ogni thriller che si rispetti.
Lo scenario in cui si muove Taverna non è dissimile da quello moderno, mutatis mutandis. I due delitti sono all'attenzione dei potentati della città, come la Curia Arcivescovile, il Governatore, la Santa Inquisizione (ricordiamo che all'epoca la città era sotto la dominazione spagnola).
Nomi diversi, ma conflitti non dissimili da quelli che potrebbero verificarsi oggi in frangenti simili.
Anche il personaggio principale ha alcune caratteristiche di un investigatore moderno, ma a fare la differenza sono l'approccio e le competenze di natura prettamente tecnica.
Se è innegabile che l'intuito non è scoperta di questi tempi, tutt'altro verrebbe da dire, è vero anche che certi concetti, come la ormai acclarata esigenza di preservare la scena del delitto dall'inquinamento delle prove, sono tipici della moderna investigazione. Pertanto Taverna, è pur intelligente e intuitivo, ma non è dotato di preveggenza, e valuta gli indizi alla luce delle cognizioni del suo tempo, sia pure con più acutezza di altri. E' interessante a tal proposito un passaggio nel quale Niccolò ha come una sensazione di disagio nello stazionare troppo sulla scena, ma che non riesce a ben definire, perché il concetto era di là da venire. Noi lettori moderni lo sappiamo, e il narratore, calato nel punto di vista del suo personaggio, non si tradisce rivelandoci il motivo del disagio, ma lascia il nostro cervello libero di elaborare l'informazione.
Riuscito è quindi il lavoro di Franco Forte di evidenziare analogie e differenze tra le epoche, nel quadro della confezione di un prodotto che è puro intrattenimento, ma realizzato con cura. Il risultato è una narrazione che se non coglie l'esattezza del suo tempo, ne restituisce una versione verosimile e convincente.
D'altra parte stiamo parlando di un romanzo, non di un saggio storico, e lascio quindi a eventuali conoscitori dell'epoca l'analisi della esattezza del volume. Non è il mio approccio. Quello che emerge sul fronte narrativo è che siamo davanti a un prodotto che offre ciò che promette, ossia qualche ora di svago costruito con professionalità.
Le caratterizzazioni di personaggi e ambienti sono funzionali alla riuscita di un prodotto medio, che non fa gridare al capolavoro, ma neanche rimpiangere tempo e soldi spesi, intrattenendo il suo lettore di riferimento.
Un tipo di editoria della quale c'è bisogno, senza falsi moralismi, per vendere libri anche ai lettori "deboli", cioè che leggono pochi libri all'anno. A fronte di pochissimi capolavori e di tante opere illeggibili, la capacità di realizzare con cura professionale un buon prodotto con onestà, senza promettere miracoli ai lettori, e quindi senza carpirne la loro buona fede, è una qualità da non sottovalutare.
Certo, il lettore scafato, quello che non legge solo due o tre libri all'anno, potrà aggrottare il sopracciglio davanti a situazioni narrative molto canoniche. Ma sono convinto che un romanzo scorrevole, scritto con uno stile senza fronzoli che punta dritto al cuore della narrazione, rappresenti una piacevole pausa tra una lettura più impegnativa e l'altra.
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