“Trovate la mappa. Sarà lì. Nessun viaggio in Fantasylandia è completo se non ce n’è una” (1) spiegava già alcuni anni fa Diana Wynne Jones nella sua Tough Guide to Fantasyland. E in effetti la maggior parte dei romanzi fantasy ormai sono corredati da una cartina del mondo in cui è ambientata la storia. Oltre ad aiutare il lettore a entrare immediatamente con la testa in un mondo che non è quello nel quale viviamo, spesso una buona mappa è fondamentale per riuscire a seguire meglio la storia. Ne era consapevole già J.R.R. Tolkien quando, scrivendo a una persona che aveva letto la bozza dei primi due volumi del Signore degli Anelli, si scusava dicendo che “dev’essere stato terribilmente difficile localizzare i posti senza una o più mappe” (2).
In effetti molte delle decisioni che sono costretti a prendere Frodo e compagni nel corso del loro viaggio sono legate alla geografia della Terra di Mezzo, una geografia che Tolkien conosce e sulla quale si basa per portare avanti la sua trama.
“Saggiamente sono partito da una mappa e vi ho adattato il racconto (in genere con un’attenta cura delle distanze). Il procedimento inverso genera confusioni e difficoltà, e in ogni caso è un lavoro molto faticoso tirar fuori una cartina geografica da un racconto” (3) ha spiegato ancora Tolkien. L’aspetto geografico di un romanzo come Il signore degli anelli dunque è fondamentale, anche se quel mondo esisteva già, con tutta una serie di “leggende più o meno legate” (4) che il pubblico avrebbe conosciuto solo nel 1977, quattro anni dopo la morte dello scrittore, quando Il Silmarillion sarebbe finalmente giunto nelle librerie.
“Semplici storie”, come le ha definite lo stesso Tolkien (5), nate da una delle sue grandi passioni, quella per le lingue. “Alla base c’è l’invenzione dei linguaggi. Le «storie» furono create per fornire un mondo ai linguaggi e non il contrario. Per me, viene prima il nome e poi la storia” (6), ha scritto, ma una volta che l'insieme degli eventi più grande, quello capace di donare un fondamento mitologico e una profondità altrimenti impossibile ai linguaggi nasce, “bisogna concentrarsi su una parte del mondo (universo), probabilmente molto piccola, se si vuole raccontare una storia” (7). E per raccontarla bene, soprattutto se è la narrazione di un viaggio, bisogna conoscere il mondo in cui storia e viaggio si svolgono, sapere perché i protagonisti scelgono un percorso piuttosto che un altro e quali sono le difficoltà che potrebbero trovarsi ad affrontare. Non solo, ogni luogo deve avere caratteristiche che gli sono peculiari perché sia credibile.
Le miniere di Moria offrono un contrasto straordinario con la pace di Lórien, e la terra sotto il dominio di Mordor rivela al di là di ogni dubbio quale sia la natura del suo Signore, solo per citare un paio di esempi.
La Terra di Mezzo però non è solo un luogo geografico ma ha anche una sua storia, come dimostra il continuo affiorare delle leggende nel viaggio di Frodo o la presenza di appendici dedicati agli annali dei re, al calcolo degli anni o agli alberi genealogici alla fine del Signore degli Anelli. E la Storia più grande, quella che affonda nei secoli, ha le sue ripercussioni nella storia più piccola, quella che vivono in un determinato periodo alcuni personaggi. La figura di Aragorn, o il ruolo dei soprintendenti di Gondor, sono più importanti e meglio caratterizzati proprio per il fatto di avere un passato, anche se gran parte di questo passato è raccontato in un'altra opera, il Silmarillion. E sorprendentemente il passato ha anche legami con la geografia, e di conseguenza con la storia attuale, perché quando Aragorn parte per arrivare in soccorso di Gondor il più in fretta possibile sceglie di percorrere i Sentieri dei Morti poiché quella è la via più breve, ma contemporaneamente trova alleati inattesi che si uniscono a lui da un altro tempo (8).
Il risultato del lavoro di Tolkien è sotto gli occhi di tutti con la caratterizzazione di un mondo, la Terra di Mezzo, in modo talmente realistico e coerente da far sentire il lettore immerso al suo interno, come se lui per primo stesse compiendo quel viaggio. Il professore di Oxford insomma ha realizzato ciò che lui stesso aveva teorizzato in una celebre conferenza, quando “il compositore della storia si dimostra un «sub-creatore» riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è «vero»: in quanto in accordo con le leggi di quel mondo. Quindi ci crediamo, finché, per così dire, restiamo al suo interno” (9).
Il mondo è vero, e il lettore-viaggiatore può entravi.
Tolkien, pur avendo una solida base nella mitologia della sua terra, per narrare il suo grande viaggio è partito dalla mappa, con tutte le sue caratteristiche geografiche.
Una mappa è stata il punto di partenza anche per David Eddings, il quale ha raccontato che “una mattina, prima di uscire di casa, mi venne da scarabocchiare, così, tanto per combattere la noia, e vide la luce le carta geografica di un luogo inesistente (e che, con ogni probabilità, è una insensatezza geologica)” (10).
Eddings non si è messo a scrivere subito, ma quando lo ha fatto si è prima costruito una solida base su cui lavorare. “Mi resi conto che, poiché avevo creato quel mondo,” ha spiegato, “avrei dovuto popolarlo, e ciò significava che avrei dovuto creare le «conoscenze» varie prima di provare a mettere insieme una trama. Il risultato fu Il Codice Rivano. Mi dissi che ogni cultura doveva avere una diversa struttura sociale, una diversa mitologia, una diversa teologia, un diverso carattere nazionale, costumi diversi, diversi modi di rivolgersi agli altri, e anche monete, pesi e misure diversi. Magari non ne avrei mai accennato nei libri, ma dovevano esserci” (11). In più, dopo aver evidenziato altri problemi su cui ha dovuto riflettere prima di creare La saga dei Belgariad come il tipo della magia da utilizzare, il tono da dare alla storia, le varie credenze religiose e le relative profezie, David ha sottolineato come sia importante costruirsi una buona cronologia: “Quando si ha una storia che dura settemila anni, è meglio avere anche una cronologia e prestarvi bene attenzione, o si può finire per perdersi da qualche parte nel trentanovesimo secolo” (12).
Il lavoro di costruzione di un mondo è impegnativo ma fondamentale, come ha chiaramente affermato Eddings: “La prima cosa che occorre a uno scrittore d fantasy è inventare un mondo e disegnarne la carta geografica. Partite da questa, altrimenti vi perderete e lettori pignoli che non hanno di meglio da fare vi segnaleranno tutti gli svarioni.
Poi dedicatevi agli studi preliminari e a un primo abbozzo dei personaggi, per grandi linee” (13). Solo in seguito, secondo lui, si può pensare alla trama.
Ma perché inventare un mondo quando si possono narrare storie ambientate nel mondo che tutti conosciamo?
5 commenti
Aggiungi un commentoSe si vuole creare una saga d'ampio respiro, la creazione del mondo e la sua caratterizzazione sono elementi necessari. Ma che sia prima di avere la storia da raccontare o dopo varia da scrittore a scrittore: per Eddings ha funzionato come scritto nell'articolo, per altri invece nasce la storia o i personaggi e dopo ci si cala nella creazione dell'ambientazione dove si svolgono le vicende.
Mi trovo personalmente d'accordo con le metodologie di Tolkien e di Eddings.
La mappa normalmente è la prima cosa a cui penso, prima di scrivere un libro. Talvolta viene proprio "prima" della storia stessa. Altre volte, nasce nella testa, poi la trasporto su carta qualche tempo dopo, ma sempre in una fase non avanzata della scrittura.
Ogni posto ha le sue peculiarità. La città X deve essere diversa da quella Y, ma forse la città K avrà somiglianze con Y, dettate da uno o più motivi. E' fondamentale, a mio avviso, cercare di tenere sotto controllo un po' tutto quanto: le lingue dei popoli, le usanze, la vegetazione che cambia da territorio a territorio, così come gli animali; il cibo e il vestiario; le tecniche di battaglia, le radici storiche e il modo di preparare tisane o alcolici, che saranno sicuramente diversi tra elfi, nani, umani, streghe-elefante o giaguari giganti.
Beh, questo è il modo in cui la penso io. Mi fa piacere che coincida sia con quello di Tolkien che con quello di Eddings, in sostanza. Più di così, non potevo sperare...
Da buon master di D&D che fa partire le campagne a livelli bassi prediligo il metodo opposto
E non guardo mai le mappe dei libri fantasy. Se dal racconto non si capisce, vuol dire che non si spiega bene. E poi mai che ci fosse una vera mappa medievale con le proporzioni sbagliate, i nomi messi a caso e continenti solo immaginati.
E perché? In un mondo dove i maghi volano (a volte anche sui satelliti del mondo) e dove esistono le sfere di cristallo e i demoni servitori, perché mai uno dovrebbe compilare una mappa sbagliata? : Per fare dispetto a chi la trova?
Arguta osservazione.
Avendo giocato a D&D capisco cosa intendi dire. In effetti, quando si scrive un libro, occorre che l'ambientazione sia sufficientemente chiara anche senza mappa. Tuttavia, prendi ad esempio Timeline di Crichton. Scritto bene, ma la mappa manca. Ti immagini che i personaggi compiano un giro X e invece dopo 50 pag. scopri che hanno fatto il giro Y. Forse non cambia molto nel corso della narrazione, ma è quantomeno spiacevole.
Penso che la mappa sia un supporto, per chi legge, ma anche per chi scrive (pensa a mondi "incasinati" tipo la Terra di Mezzo"...); le mappe non devono prevaricare o essere una scusa per fare venire meno la chiarezza dello sviluppo della trama, però sono di sicuro un aiuto.
Imho, ovviamente.
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