Acuto, pensò il vecchio. -- Qui sulla linea non si muore di queste cose, se fai un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Loro non si mescolano, ma se li mescoli tu, è uguale.
- Quindi la vecchia storia è vera.
Quale vecchia storia, fu sul punto di chiedere il vecchio, non perché non lo sapesse, ma perché ce n’erano talmente tante che non si poteva essere sicuri di quale fosse l’allusione.
Di fondo, c’era l’idea che un giorno sarebbe arrivato qualcuno che avrebbe riunito il sole e la pioggia, e che quel giorno tutte le maledizioni sarebbero scomparse. I bambini non sarebbero più morti per l’aria che avvelena il sangue, o per l’acqua che riempie il midollo, gli insetti sarebbero caduti morti dal cielo, a milioni, le zanne velenose ormai inutili e innocue, i pipistrelli non avrebbero più solcato la notte, l’erba sarebbe ricresciuta. Forse perfino gli alberi. Il vecchio aveva letto che i semi di alcune specie possono resistere decenni, sotto la terra arida. Il legno ormai scarseggiava più del cibo, le foreste calcificate erano quasi tutte abbattute.
- Non credo più alle vecchie storie.
- Eppure ne sei la prova. Che bisogna mescolare tutto, dico.
Il vecchio si irritò. Parò senza riflettere: - Mia moglie l’hanno presa i pipistrelli, vent’anni fa. Quindici anni fa, il mio figlio grande è morto per il sole, e dieci anni fa le mie figlie hanno urlato per giorni, mentre l’acqua faceva marcire le loro ossa. L’ultimo si è rotto una gamba mentre cercava girini, non ho ritrovato neanche i vestiti.
Fece una pausa, per assorbire quello che aveva detto. Erano anni che nemmeno lo pensava. Riprese a parlare in tono acido.
- Adesso so che bisogna evitare le conche nelle dune, che sotto c’è il formicaleone, e che si deve fare avanti e indietro dalla linea ogni giorno, per annullare la maledizione. Che le rane si prendono con le trappole e non inseguendole, che di notte ci si chiude dentro e non si esce, anche se fa fresco. Sorbì rumorosamente il brodo di rane carnivore. - L’ho pagata cara, la mia prova. Me la tengo stretta.
I capelli di Tasan erano candidi come nient’altro, in quel mondo marcio e sbiadito. -- La storia dice che c’è qualcosa. Da qualche parte. Qualcosa che spacca in due il mondo e tiene separate le nuvole dal sole, che avvelena tutto, pian piano.
Il vecchio decise che la conversazione era un passatempo molto sopravvalutato. - La storia dice anche che chi lo trova morirà, coi capelli e i denti che cadono a manciate e la pelle che diventa come le squame dei pesci.
Guardò la finestra, dalla parte della pioggia, sperando di ottenere un po’ di silenzio, ma un pensiero lo colse.
- La mia figlia piccola ha urlato così tanto che alla fine aveva tutti i capelli grigi. Lanciò un’occhiata all’uomo. - Quasi bianchi.
- Non ha urlato abbastanza. Rispose Tasan.
Nessuno veniva mai sul confine, oppure nessuno ci arrivava. Quando il vecchio aveva portato la sua famiglia, convinto alla maniera stupida dei giovani che gli stupidi fossero gli altri, a rimanere dove si moriva bruciando, le creature disperate quanto l’uomo, ma più forti dell’uomo, erano meno sviluppate di adesso. E già allora, quando il vecchio era giovane, erano maledettamente grosse e pericolose.
Sembrava che lo stesso veleno che uccideva la gente rendesse più forti loro, come se fosse il loro ambiente perfetto, e ogni anno il formicaleone era più grande e deponeva più uova. Poche si schiudevano, molte le prendeva il vecchio, che tanto il formicaleone le abbandonava dopo aver espletato il suo dovere, però era un fatto. Ce n’erano sempre di più, sempre più grossi, e gli uomini strisciavano tra le loro zampe, cercando di non farsi notare.
O nessuno era così stupido da venire sul confine, o nessuno riusciva più ad arrivarci.
Le monete d’oro erano sempre sul tavolo, non servivano a niente se non a decorare un po’ la casa.
C’era un libro di favole che il vecchio aveva letto a tutti i suoi figli, prima che la stessa maledizione che continuava a farlo vivere li uccidesse. Era la storia dell’eroe che avrebbe rotto l’incantesimo che teneva separati il sole e la pioggia, dopo aver trovato il castello maledetto e ucciso il drago che lo custodiva, che poi era il mostro che avvelenava tutto con il suo fiato mortifero.
Piaceva moltissimo soprattutto alla sua figlia piccola, e gliel’aveva letta un’ultima volta, dopo che aveva smesso di urlare ed era rimasta immobile, rigida, i capelli sbiancati, una vecchia di undici anni. Come al solito, aveva inventato il finale. Nella sua storia l’eroe salvava la principessa e regnava sul mondo tornato mite e gentile, e c’erano fiori, e animali piccoli, facili da sopraffare, e rugiada e raggi timidi che passavano attraverso nuvole sottili, dalle quali non cadevano pugnali gelati. Il vecchio sapeva inventare bene, nemmeno sua moglie si era mai accorta che non leggeva il finale, ma lo inventava.
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