Dopo una iniziale e doverosa introduzione, con questo secondo articolo entriamo direttamente nel vivo del discorso, andando a parlare di come il fantasy occidentale sia arrivato nel paese del sol levante e, soprattutto, quali siano state le sue declinazioni nei manga.
Come abbiamo già accennato, il Giappone si è mantenuto in una sorta di isolamento culturale per moltissimi anni, soprattutto nei confronti dell’occidente. Quindi è necessario fare un distinguo tra quello che potremmo definire il fantasy “occidentale” (sulla scia di Tolkien, Brooks, Jordan, Martin, etc.) e quello “orientale” o, con una definizione forse più corretta, “autoctono”.
Quello occidentale arriva per la prima volta in Giappone solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, importato (come molte altre cose) dall’occupazione americana. Non è il solo genere letterario che il paese del sol levante scopre in quel periodo, ve ne sono anche altri come il giallo, la fantascienza, etc. L’impatto, a livello culturale, è diverso per ciascuno di questi stili. Alcuni si impongono subito e vedono ben presto nascere le prime opere giapponesi di quel genere, per altri ci vuole più tempo.
Per quanto riguarda il fantasy dobbiamo aspettare gli anni ’70.
Sotto il profilo prettamente letterario uno dei primi esempi di rilievo non può che essere la Saga di Guin, scritta da Kaoru Kurimoto, una serie di romanzi di genere heroic fantasy. Il protagonista, Guin, ha un fisico che farebbe invidia al Conan di Robert E. Howard e capacità di combattimento che lo rendono un guerriero praticamente imbattibile. Peccato che abbia perso la memoria e che abbia una maschera da leopardo magicamente appiccicata al suo vero volto. Tutto ciò che ricorda è una parola, Aurra, che lo condurrà a vivere molte avventure. Molte, però, è forse un termine riduttivo dato che la saga detiene il record per il ciclo di libri più lungo di sempre, avendo totalizzato ben 130 volumi. Curiosamente, quantomeno per noi occidentali, pur trattandosi di un heroic fantasy, la saga della Kurimoto non si rivolge a un pubblico prevalentemente maschile, ma, grazie ad alcuni elementi specifici, anche a quello femminile in un rapporto quasi paritetico.
Nonostante i primi capitoli risalgano al 1979, un suo adattamento in forma di manga dovrà aspettare più di vent’anni, cioè il 2001, per vedere la luce. L’impatto sull’immaginario fantastico di lettori e mangaka (gli autori di fumetti, siano essi scrittori o disegnatori) è, però, fortissimo.
Un altro dei primi esempi di fantasy occidentale in Giappone sono sicuramente le opere legate all’universo di Record of Lodoss War. La nascita di quello che è oggi uno dei brand più famosi e prolifici del panorama fantasy nipponico è legato a un curioso aneddoto. Il creatore, Ryo Mizuno, in vacanza negli USA nei primi anni ‘80, acquistò, quasi per puro caso, una scatola del gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Tornato in patria, iniziò una serie di partite con i suoi amici, registrando puntigliosamente tutti gli avanzamenti e le evoluzioni della storia. Dato che al tempo non esistevano espansioni del gioco disponibili in Giappone, Mizuno cominciò a scriversi da solo le avventure, i colpi di scena e le ambientazioni. Dalla mera annotazione delle partite alla pubblicazione il passo fu relativamente breve e il successo immediato. Quello fu il punto d’inizio che portò a un moltiplicarsi delle opere marchiate Record of Lodoss War: dai libri, ai giochi di ruolo, ai videogiochi, agli anime, per arrivare solo nel 1998 al primo manga tratto dal ciclo, intitolato The Grey Witch.
Non è, quindi, attraverso l’adattamento a fumetti di opere letterarie che il fantasy occidentale fa la sua prima comparsa tra i manga.
A metà degli anni ’80, infatti, i mangaka sembrano ancora un po’ restii a cimentarsi con questo nuovo genere. Chi si era, invece, subito accorto del valore del fantasy era il settore ludico e, in particolare, quello dei videogame, forse perché si rivolgeva al mercato non solo nazionale, ma anche mondiale. Già tra il 1986 e il 1987, infatti, escono tre dei videogiochi più rappresentativi (per anzianità, longevità o successo) dell’interpretazione giapponese del fantasy occidentale: Dragon Quest, Legend of Zelda e Final Fantasy. Tre titoli che hanno contribuito (forse anche più di tanti fumetti) a diffondere una certa idea di fantasy nella terra del sol levante. In realtà il successo di questi videogame è stato tale da indurre anche svariati adattamenti cartacei: la maggior parte di questi fumetti, però, si è risolta in una mera operazione commerciale. L’unico titolo a emanciparsi quasi completamente dal gioco originale è stato Dragon Quest – Dai No Daibouken (in it. Dragon Quest – La Grande Avventura di Dai) realizzato da alcuni collaboratori di Akira Toriyama (da cui i disegni che molti potrebbero trovare simili al DragonBall degli inizi), che, con i suoi ben 37 tankobon (volumetti), è riuscito a conquistarsi una propria identità e rispettabilità.
2 commenti
Aggiungi un commentoMi ricordo Record of Lodoss War, I Cieli di Escaflowne, Magic Knight Rayearth: anime belli, anche se come sempre si discostano un pò dal manga.
Berserk è un ottimo esempio d'influenza occidentale: mitologia, cinema, arte, storia. L'argomento è troppo ampio da affrontare in un commento: lo farò in un approfondimento che da tempo è in lavorazione.
Dragon Quest e Legend of Zelda sono ottimi esempi nel mondo dei videogiochi di come l'occidente ha ispirato l'oriente in modo "classico" (vedi stile medioevo); lo è stata anche la serie Final Fantasy, benchè in essa ci siano tante contaminazioni non solo di stampo fantasy, ma anche fantascentifico.
Sono contento che nell'articolo viene citato anche The Slayers, arrivato da noi con il bruttissimo e lunghissimo titolo "un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo per Rina". L'anime è tratto dagli omonimi Light Novel (piccoli romanzi con delle illustrazioni), e la storia, anche se fà parodia dei clichè fantasy, è assolutamente godibile e per molti versi originali. I romanzi e l'anime (quello non censurato) sono assolutamente da non perdere per tutti gli appassionati di fantasy.
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