Amore oltre la morte, sentimenti che superano il confine dell’immaginazione, l’innocenza che genera mostri.

Tim Burton è tornato, dopo alcune deludenti performance, ci regala una nuova favola gotica e dark nella quale rovescia, come solo lui sa fare, gli stilemi cinematografici prendendo a piene mani dai film horror degli anni cinquanta e dal maestro Hichcok citato più volte all’interno della pellicola.

Il film, come non si vedeva da anni, è pregno della genialità burtoniana del coniugare e trasformare il bello ed il brutto in nuove forme mostruosamente dolci e terrificantemente innocenti e propri come nei film del maestro del brivido, ogni dettaglio e personaggio di questo prodotto risulta affascinante in maniera inquietante e spaventoso in maniera delicata.

Resta sempre una storia di sentimenti.

Victor è ragazzo solitario quanto geniale ed affascinato dalla scienza, come unico amico ha il suo cane Sparky, fedele ed inseparabile, unico faro di speranza nella chiusa e bigotta provincia americana in cui è ambientato il film.

Quando Sparky muore investito da un auto, come nel romando del dottor Frankenstein, il giovane genio lo riporta in vita grazie alla scienza, ma deve tenere nascosta la propria creatura affinché la popolazione bigotta e superstiziosa non ceda al panico.

Uno spaccato critico sull’arretratezza made in USA e sulla solitudine adolescenziale di un protagonista profondamente solo e diverso rispetto al mondo che lo circonda e forse in questo, simile al regista che aveva già proposto il tema della pellicola in un cortometraggio per la scuola di cinema.

Di quell’esperimento, Burton non riprende soltanto i temi ed i personaggi ma anche le voci originali dei personaggi e gran parte delle sequenze all’epoca soltanto abbozzate.

A questa aggiunge innumerevoli citazioni dal cinema di genere e molte, riflessive, sequenze agrodolci che rendono più umano e tridimensionale il rapporto tra Sparky e Victor, il tutto condito da un delicato humor nero steso come una coperta su tutto il prodotto e reso vivo dai comprimari deformi e mentalmente deviati che circondano il protagonista.

Burton torna al genio ed alla sregolatezza che lo hanno reso celebre, regalandoci finalmente un nuovo film immaginifico in grado di spaventarci ed intenerirci allo stesso tempo svelandoci che l’amore estremo può essere pericoloso quando il male più profondo e che nella magia del cinema, vive quell’inquietudine drammatica che invece di separare i mostri ed i geni dalle persone comuni, li mette in correlazione creando nuove e spaventose combinazioni di genialità e follia.