Il fatto di esser descritto nel mito come una creatura malefica, non ha impedito a Orochi di essere presentato anche come una creatura positiva, per esempio nel film Legend of the Millennium Dragon (tit. or. Onigamiden) di Hirotsugu Kawasaki (2011). In questa pellicola un ragazzino, dopo essersi rifugiato in un tempio per sfuggire a un Oni (un demone della tradizione giapponese, simile agli orchi occidentali), viaggia indietro nel tempo fino all’epoca Heian (dal 794 al 1185 d.c.). Qui si ritrova nel mezzo di una guerra tra demoni ed esseri umani; lui è il solo in grado di risvegliare il drago Orochi e controllarlo per sconfiggere definitivamente gli Oni. Ma non tutto è come appare e il protagonista scoprirà che, forse, non sono gli esseri umani i buoni della situazione. La tematica dello scontro tra natura e progresso è molto sentita, con i demoni come rappresentanti degli spiriti naturali.
Questa interpretazione degli Oni riprende, in realtà, il modo in cui erano descritti nelle prime leggende che li riguardavano, cioè come creature benevole, che tenevano lontani gli spiriti maligni e punivano i malfattori. È solo con il periodo Heian che il buddismo comincia a trasformarli fino a renderli simili agli orchi occidentali: mostri minacciosi, violenti e non molto intelligenti, capaci solo di distruggere e portare calamità (si nota, quindi, che nel film d’animazione appena citato sia il periodo storico che i personaggi non sono scelti a caso, è infatti proprio un monaco buddista a indicare i demoni come i “cattivi da distruggere”).
Un processo non dissimile da quello subito anche da altri Kami, un termine che indica indistintamente tutti gli oggetti di venerazione della fede scintoista, siano essi divinità o, più semplicemente, gli spiriti dei fiumi, degli alberi, del fuoco, etc.
Un punto di contatto, quantomeno concettuale, tra il fantasy all’occidentale e quello all’orientale, è il modo di concepire il mondo in cui sono ambientate le storie. Se, infatti, in occidente il fantasy pesca a piene mani da un certo immaginario legato al medioevo europeo, tra armature, spade, castelli, etc. si può dire praticamente lo stesso anche per l’oriente. Sfondo prediletto risulta essere un medioevo giapponese (o alle volte cinese) alternativo, in cui a fianco di samurai e ninja trovano posto creature mitologiche e leggendarie.
E’ il caso, per esempio, di un titolo come Basara di Yumi Tamura (1991), ambientato in un passato non meglio precisato, ma con connotati molto simili a quelli del medioevo giapponese degli shogunati, appena precedente all’epoca Sengoku. La vicenda prende ampiamente spunto dalla storia, in parte reale, in parte immaginaria, dell’unificazione della terra del Sol Levante. La protagonista prende il posto del fratello defunto come “eletta” per compiere un viaggio che la porterà a raddrizzare torti e a conoscere alleati che le permetteranno, infinte, di sconfiggere i nemici e liberare e unificare tutto il Giappone. Pur trattandosi di uno shojo, non mancano combattimenti di grande drammaticità e violenza; l’approfondimento dei personaggi, mai scontato, inoltre, potrebbe renderlo facilmente apprezzabile dal pubblico di entrambi i sessi.
Titolo divenuto famosissimo anche in Italia e che presenta in maniera pressoché perfetta tutte le caratteristiche descritte finora è certamente InuYasha di Rumiko Takahashi (1996). In questo manga vediamo Kagome, una normalissima liceale giapponese, cadere in un pozzo e ritrovarsi catapultata all’epoca Sengoku (indicativamente dal 1478 al 1605). Naturalmente la situazione andrà a complicarsi e lei scoprirà di essere la reincarnazione di una potentissima sacerdotessa di nome Kikyo, oltre a incontrare il mezzo-demone che dà il titolo al fumetto: InuYasha. Interessanti sono, però, anche i comprimari e le situazioni in cui i personaggi si vengono a trovare, che richiamano, di volta in volta, vari elementi o creature del mito. Ad esempio Shippo, che nel manga ha l’aspetto di un bambinetto con la coda, è chiaramente ispirato alla Volpe a Nove Code (o “Kitsune” in giapponese, termine che indica sia le normali volpi, che il Demone Volpe di cui parliamo), creatura mitologica capace di assumere varie sembianze, ma anche di appiccare il fuoco con le sue code e dotata di altri svariati poteri magici.
La Volpe a Nove Code è una creatura particolarmente amata e odiata nella cultura orientale, essendo presentata, spesso, come ingannatrice e dalle caratteristiche simili a quelle di incubi e succubi occidentali. Al contempo, però, il termine kitsune viene spesso usato anche come vezzeggiativo scherzoso, e vagamente elogiativo, nei confronti di ragazze giovani, particolarmente belle e dalle movenze eleganti.
Nella narrativa per immagini possiamo ritrovarla in diversi titoli oltre a InuYasha, per esempio in un altro grande successo di vendite come, il già citato Naruto di Masashi Kishimoto (1999), in cui il demone della volpe è sigillato all’interno del protagonista Naruto Uzumaki e al quale dà, a seconda dell’occasione, straordinari poteri o grossi problemi.
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