Supreme è tornato. Dopo un lungo esilio nello spazio, il gigante di alabastro si dirige verso la terra. Ma qualcosa non va. Il pianeta, le persone, le cose, non sono come Supreme le ricordava. In effetti, ricorda veramente poco della sua vita passata. Come se qualcosa o qualcuno stesse riscrivendo la sua esistenza, definendone ex novo tutti i dettagli, fino al più piccolo, nascosto segreto...
Torna Supreme. Quello che aspettavamo, quello più vero, insomma. E torna Alan Moore, in uno dei suoi lavori revisionisti più riusciti e certosini, in un bel volume delle edizioni Renoir che presenta in un'unica soluzione l'intera saga The Story of the Year, che ridisegnò interamente il cosmo del personaggio creato da Rob Liefeld giovando a Moore il Premio Eisner nel 1997 per la migliore sceneggiatura. Più che di revisione, però, potremmo parlare di vera e propria rifondazione. Un nuovo inizio e una sostanza fumettistica affatto diversa da quella degli esordi. Senza provare a nascondersi dietro un dito, si può affermare che Supreme fosse nato per essere la versione Image dell'unico e solo Superman. Una delle tante controfigure che, nel corso della storia, svariati marchi editoriali hanno affiancato ad altrettanti personaggi iconici, nati e cresciuti agli albori della storia supereroistica. Superman e Batman avanti a tutti. Dell'Uomo d'Acciao si erano già viste una quantità di cloni più o meno dichiarati, ma tutti abbastanza riconoscibili (Capitan Marvel, Miracleman, Hyperion dello Squadrone Supremo) e molti altri ancora sarebbero seguiti.
Supreme torna (di nuovo) dallo spazio, ma non è più lui. Qualcosa è cambiato dal primo stile Image. In meglio. E Supreme è destinato a diventare una delle controfigure dell'unico Superman più riuscite e dettagliate di tutti i tempi. Complice la magia e la passione che caratterizza la scrittura di un Alan Moore particolarmente ispirato. La sete di sangue è stata azzerata, così ogni velleità da cattolico esaltato. Quello che adesso ci troviamo davanti, per indole e attitudini, è semplicemente Superman, ma noi – complici – lo chiameremo Supreme.
Tornato dal suo lungo viaggio nello spazio, Supreme scopre che l'intero universo è soggetto a ciclici assestamenti che ridisegnano tanto il passato quanto il presente (lavoro che nella realtà stava venendo svolto dallo stesso Moore), sostituendo di fatto la realtà conosciuta con una nuova e differente. Supreme, dunque, non uccide nessuno. Anzi, non lo ha mai fatto, non ci pensa neanche. I suoi vuoti di memoria sono riconducibili al ridisegnarsi della sua realtà personale, e nella Supremazia, limbo dove si rifugiano e prosperano come in un Valhalla tutte le sue versioni passate, avrà modo di incontrare le varianti più demodé e strampalate che siano state date dell'Uomo d'Acciaio (comprese le sue versioni parodistiche e zoomorfiche).
Unico punto debole (se così si può dire) di Supreme – The Story of the Year, è forse che può essere goduto appieno da veterani che conoscono bene il mito di Superman e le sue declinazioni decennali. Il divertimento è tanto quanto più è possibile riconoscere l'humus fumettistico con cui Alan Moore ha realizzato le proprie alchimie, cogliendo variazioni, citazioni e affascinanti trasfigurazioni concettuali. Un pubblico molto giovane potrebbe magari apprezzare la coerenza fantasiosa del tutto, ma senza coglierne gli aspetti ironici e critici. Rappresentativa la trilogia di episodi realizzata nello stile dei Racconti della Cripta della EC Comics, che negli anni 50 strappò lo scettro di fumetto più seguito agli eroi in costume e segnò l'inizio della loro crisi dopo i fasti del periodo bellico. Già allora – rammenta Moore – le ansie sociali erano ben al di sopra delle capacità di un supereroe, anche del più potente. Neppure Supreme può nulla contro il mutare dei costumi, come gli ricorda (allusione al magazine satirico Mad) l'improvvida trasformazione in una versione distorta e ridicola di se stesso. Da questo punto di vista, la giostra del gioco fumettistico innescato da Moore con la sua ciurma di artisti al seguito è strepitosa, e riesce a presentare dei veri salti nel tempo, mutando stile a seconda delle epoche e dei contesti che va a toccare.
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