Conosciamo bene la storia del burattino diventato bambino. Psicoanalisti, studiosi, psicologi, linguisti si sono arrovellati in codifiche e decodifiche di questa favola nostrana. Hanno tratto film, libri, fumetti più o meno emblematici e ognuno ha dato la propria interpretazione, adesso è giunta nei cinema quella con la regia di Enzo D’Alò, i disegni di Lorenzo Mattotti e le musiche di Lucio Dalla.
Il lungometraggio che ha avuto una gestazione molto lunga e ha subito varie riprese e abbandoni non ripaga delle fatiche affrontate dagli artisti e in seconda battuta dagli spettatori.
Insomma delude il risultato. Le musiche del compianto Dalla non hanno originalità, sembrano ripetizioni di motivi ascoltati chissà dove, i disegni del grandioso Mattotti, che hanno sempre colpito per il simbolismo e la surrealtà assoluta, emergono solo nei bellissimi sfondi, ma non riescono a tenere desta l’attenzione degli spettatori per tutti gli 84 minuti di durata del film. Neanche le deroghe alla favola originale aiutano ad avvicinare i protagonisti alla platea. L’atmosfera più metafisica non riesce a creare la magia desiderata e un sapore moralista e di giustificazione personale attraversa tutta l’opera.
Inquietanti le dichiarazioni di Enzo D’Alò su Geppetto, il quale costruisce Pinocchio, quasi per proiettare se stesso, per eternarsi in ultima istanza. Geppetto “[…] Nel bambino-burattino rivede il suo passato e, anche, le aspettative perdute. […] Forse Geppetto costruisce Pinocchio nella speranza di non finirlo mai? […] Il rimpianto, la memoria, il futuro e le aspettative diventano Pinocchio.”
Le aspettative sono sempre state armi a doppio taglio, some, a volte sovrumane, che i figli sono stati costretti a portare e con cui sono stati costretti a confrontarsi senza disattenderle, pena, almeno così sembra, l’affetto del genitore e un senso d’inadeguatezza lungo una vita.
In un’epoca di legami liquidi, in cui le relazioni più viscerali sembrano in bilico, in cui i bambini soffrono di stress e di depressione, sottolineare questi temi sembra alquanto macabro e fuori tempo, forse sarebbe stato meglio attenersi alla favola così come era scritta, lasciando cadere il senso di colpa e l’espiazione dei peccati.
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