Flint si accovacciò per prendere fiato. Guardò dietro di sé e vide che aveva percorso già un centinaio di metri nel labirinto di fuoco. Di fronte, a circa una ventina di balzi da dove si trovava ora, individuò un basamento più largo, con un’apertura a volta che si perdeva nella roccia. Rincuorato da quella visione e, noncurante delle goccioline di sudore che colavano sui suoi occhi, fece un nuovo salto. Questa volta calcolò male la distanza, la stanchezza aveva iniziato a compiere la sua macabra opera. Atterrò con la punta degli stivali sulla stalagmite che poteva misurare sì e no una trentina di centimetri di larghezza. I piedi scivolarono subito, proiettando in avanti il corpo del giovane. Fu la sua fortuna e la sua salvezza. Riuscì ad aggrapparsi alla roccia abbracciandola, scivolando per un paio di metri. Non fu per nulla piacevole perché la pietra ruppe le vesti sulle braccia scorticandogli la pelle. Il bruciore fu intenso. In molti avrebbero mollato la presa e si sarebbero lasciati cadere nel vuoto, per finire cotti dalla lava. Argail tenne duro ed emise un urlo soffocato.
Avvolse anche i piedi attorno alla colonna di roccia e si issò con fatica e attenzione sullo stretto basamento. Una mossa da vero circense. Giunto in cima ansimò a fondo: «Dannazione a Wastaran e alla sua giostra! Ci credo che nessuno è arrivato al termine. Spero solo che Hak e Gark ce l’abbiano fatta», pensò ad alta voce.
Riposò qualche istante ancora. Non sapeva quanto tempo fosse passato dal momento in cui era entrato. L’unica cosa di cui si rendeva conto era che, in quel luogo, regnava un silenzio innaturale. Pareti così distanti e una gola così profonda avrebbero dovuto trasmettere una grande eco. Cosa che invece non avveniva. L’aveva notato poiché ogni suo balzo non aveva emesso alcun suono. Qualcosa di magico era all’opera, lì. Decise di non curarsi più di queste cose e di proseguire. Pensare troppo avrebbe rischiato di ucciderlo.
Con coraggio e decisione, saltò le altre colonne scoprendo che le ultime due non avevano una base piatta, ma terminavano con una grezza punta rocciosa. Argail capì che per evitare di cadere o di farsi troppo male ai piedi, avrebbe dovuto compiere due balzi di fila. Trattenne il fiato e poi lo liberò. Saltò atterrando sulla gamba destra, quella più forte, e sfruttò la spinta per andare sull’altra stalagmite. Anche questa volta, riuscì nel proprio intento usando ancora lo slancio ottenuto per atterrare sul nuovo piano lavico che precedeva l’arco. Un uomo con una preparazione differente dalla sua non sarebbe riuscito nell’impresa. Gli anni passati al circo e l’esperienza accumulata stavano dando i loro frutti.
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