Non fu un gran salto e, per la seconda volta, si salvò per un pelo, aggrappandosi con entrambe le mani alla roccia, issando così il proprio corpo a forza di braccia. Rimase disteso diverso tempo a pancia sotto, per riprendere fiato. Guardò ancora dietro di sé e si stupì da solo di cosa fosse riuscito a compiere. Mentalmente, ringraziò Juranar Jurek e G’had Fey per tutto ciò che le loro premure gli avevano insegnato. Si alzò e sistemò per bene la spada dietro la schiena. Aveva deciso di tenerla in quella posizione, non sapendo cosa l’aspettava nella grotta successiva. La prima prova doveva averla superata ed era stata davvero dura. Chissà cosa avrebbero riservato le prossime due. Dopo il labirinto di fuoco, lo attendeva il deserto di ghiaccio. Il primo, in realtà, lo aveva spossato più per il misto di fatica e attenzione che per il caldo effettivo.

Un passo dietro l’altro, attraversò l’apertura. La temperatura diminuì improvvisamente. Uno sbalzo termico simile non era possibile in natura. Il sudore gli si gelò sulla schiena e Flint fece istintivamente un passo indietro. Di fronte ai suoi occhi si stagliava un’immensa grotta di ghiaccio che rifrangeva la luce del sole proveniente da alcuni fori nel soffitto, alto più di dieci metri. Un’improvvisa folata di vento lo colse ancora impreparato e dei sottili, ma fastidiosi strati di ghiaccio si posarono sui suoi vestiti. Come prima cosa sfoderò la spada. Un così rapido cambio di temperatura avrebbe fatto gelare il fodero, rischiando di far incastrare la lama.

Decise di procedere di corsa. Se avesse camminato a quelle temperature così basse sarebbe certamente morto assiderato. Iniziò a correre ma, dopo pochi metri, vide un solco nel terreno largo almeno due metri e fece appena in tempo a saltare dall’altra parte. Quel luogo era pieno di crepacci. Doveva cambiare piano d’azione. Il mondo intorno a lui cambiava in continuazione e ciò turbava la sua stabilità, mettendo in gioco le sue capacità d’adattamento. Chissà cosa aveva in mente Wastaran. Cosa desiderava che dimostrassero i suoi arditi campioni? E, soprattutto, quanti ne erano morti?

Nel procedere, sentì le labbra prosciugarsi e aveva un gran bisogno di bere. Non si azzardava a toccare la neve, però, perché i suoi polmoni sarebbero ghiacciati in un attimo. Fu proprio mentre pensava a come fare per dissetarsi che vide il cadavere. Uno solo, ma ben conservato dal ghiaccio. Armato fino ai denti, il viso reso inespressivo dal freddo e girato sulla schiena. Ebbe un moto d’esultanza interiore nel non riconoscere uno dei suoi amici. Non si vergognò di questo, chi aveva deciso d’intraprendere quelle prove sapeva a cosa poteva andare incontro. Non esultò troppo, però, Hak e Gark potevano anche non essere arrivati fin lì. Magari giacevano per sempre nel fondo lavico alle sue spalle. Scacciò subito quel pensiero e sperò che i gemelli lo stessero aspettando alla corte di Wastaran Augustin, pronti a confrontarsi con lui al termine di quell’insidiosa giostra.

Quel calvario infine terminò. Ancora una volta trovò ad attenderlo un’apertura nella roccia. Questa però aveva una forma a dir poco particolare, somigliava a una grande bocca con denti acuminati, pronta a chiudersi su di lui. Non stette molto a riflettere. Con la spada in mano, varcò l’antro e subito fu investito da aria calda, soffocante. Argail cadde a terra stremato. I cambi di temperatura così improvvisi lo fecero vacillare e, lasciando andare la spada, che sferragliò a terra, iniziò a vomitare. Fu la sua unica debolezza e il primo vero errore.

Non si accorse dell’essere sbuffante di fronte a sé che lo colpì violentemente, mandandolo a sbattere contro la parete di roccia. Flint boccheggiò, stordito dall’attacco, esausto per le prove appena superate e sorpreso da quel nemico inaspettato. Perdeva sangue dal fianco sinistro e, probabilmente, aveva un paio di costole incrinate. Il colpo era stato davvero duro. Riuscì per un secondo a puntare lo sguardo in direzione del proprio avversario e sgranò gli occhi. Fece appena in tempo a buttarsi di lato per evitare il nuovo attacco, che l’avrebbe certamente ucciso. La spada si trovava ora a quattro braccia di distanza e risultava impossibile da recuperare, al momento. L’enorme creatura si frapponeva fra lui e la sua arma. Argail, avendo capito di cosa si trattava, evitò di fissare l’essere negli occhi. Cosa alquanto difficile giacché avrebbe dovuto affrontarlo e ucciderlo. Il figlio del diavolo... che strano nome per la prova finale che riguarda il confronto con un basilisco.

(da Capitolo X. Il guerriero)