PARTE PRIMA
La lama stessa induce alla violenza.
[Omero]
2.
I Sopravvissuti
Per prima cosa, sentì lo sciabordio dell’acqua nelle orecchie; quello, lo stormire degli alberi e lo strano cinguettio sincopato di un uccello. Quando Logen schiuse gli occhi, fu accecato dalla luce confusa che trapelava dalle foglie. Era morto? Allora perché gli faceva male tutto? La parte sinistra del corpo era tutta indolenzita e cercando di fare un respiro profondo per poco non soffocò, poi tossì acqua e fango dai polmoni. Si mise a carponi gemendo e ansimando tra i denti serrati, prima di trascinarsi fuori dal fiume e abbandonarsi sulla schiena lungo la riva melmosa coperta di muschio e pezzi di legno marcio. Giacque così per un momento, con il respiro sibilante nella gola secca, a guardare il cielo grigio al di là dei rami scuri. «Sono ancora vivo», si disse con voce roca, sopravvissuto nonostante gli strenui assalti della Natura, degli Shanka, degli uomini e delle bestie. Bagnato fradicio e steso sulla schiena, cominciò prima a ridacchiare, poi a ridere in modo convulso e stridulo. Una cosa si può ben dire di Logen Novedita, che è un sopravvissuto. Ma un vento gelido spirò sulla sponda putrida del fiume, portandosi via la risata di Logen. Ora era vivo, sì, ma sopravvivere era tutt’altra cosa. Per prima cosa si tirò a sedere fra le fitte di dolore, poi, poggiandosi al tronco dell’albero più vicino, riuscì faticosamente a tornare in piedi. Dopo essersi pulito il fango dal naso, dagli occhi e dalle orecchie, alzò la maglia bagnata per controllare le lesioni. Un fianco era tutto ricoperto di lividi violacei, conseguenza della caduta, e il costato era morbido al tocco, ma sembrava non ci fosse niente di rotto. La gamba invece, quella era messa proprio male, piena di squarci e sangue laddove lo Shanka l’aveva morso. Gli faceva un male cane, però il piede riusciva a muoverlo piuttosto bene, e questa era una gran fortuna, visto che per andarsene di lì i piedi gli sarebbero stati indispensabili. Vide con somma gioia che il coltello era ancora al sicuro nel fodero della sua cintura. L’esperienza aveva insegnato a Logen che non si possiedono mai troppi coltelli, e il suo in particolare era una buona arma. Tanto più che le prospettive erano ancora sconfortanti, essendo lui solo in un bosco del tutto sconosciuto ma brulicante di Testapiatta. La sua unica speranza era seguire il corso del fiume, dal momento che tutti i fiumi scorrevano verso nord, dalle montagne al mare freddo, e quindi non avrebbe dovuto fare altro che procedere verso sud, in senso inverso alla corrente, fino agli Alti Luoghi, dove gli Shanka non lo avrebbero trovato. Era la sua unica possibilità. Avrebbe fatto un freddo micidiale lassù in questo periodo dell’anno, pensò Logen osservandosi i piedi nudi. La sua buona sorte aveva voluto che gli Shanka li attaccassero proprio mentre non indossava né gli stivali, sfilati per curarsi le vesciche, né la giubba, superflua perché stava seduto vicino al fuoco. Conciato così, non sarebbe durato nemmeno un giorno intero sulle montagne; a cominciare da piedi e mani, che sarebbero diventati neri già durante la notte, sarebbe morto congelato un pezzo per volta prima ancora di raggiungere i passi. Sempre che non lo avesse ucciso prima la fame. «Merda», mormorò. Doveva tornare all’accampamento, nella speranza che i Testapiatta se ne fossero andati lasciandosi dietro qualcosa, qualunque cosa potesse usare per sopravvivere. Molto probabilmente era una speranza vana, ma doveva tentare, non aveva scelta. Non aveva mai scelta. Quando Logen ritrovò il posto, aveva già cominciato a scendere una pioggia sottile che gli incollava i capelli sulla testa e impediva ai suoi vestiti di asciugarsi. Si nascose dietro a un tronco ricoperto di muschio e sbirciò l’accampamento con il cuore in gola e la mano destra serrata attorno all’impugnatura scivolosa del coltello con una tale forza da fargli male. Vide un cerchio annerito laddove c’era stato il fuoco, qualche pezzo di legno bruciacchiato e cenere calpestata tutt’intorno. Scorse anche il grosso ciocco su cui stavano seduti Tretronchi e Dow quando i Testapiatta li avevano attaccati, oltre a frammenti di equipaggiamento disseminati nella radura. Contò tre cadaveri di Shanka riversi a terra, uno con una freccia conficcata nel petto. Tre morti, ma nessun segno di vita. Che fortuna! Quel tanto che bastava per farlo restare vivo, come sempre. Ma potevano tornare da un momento all’altro, per cui doveva sbrigarsi. Uscì fuori dal suo nascondiglio e si mise a perlustrare il terreno. Gli stivali erano ancora dove li aveva lasciati, così corse a prenderli e se li infilò ai piedi gelati saltellando, sul punto di scivolare per la fretta. Avvistò anche la sua giacca infilata sotto il ciocco. Era logora e frusta, dopo dieci anni di guerra e intemperie, piena di strappi e ricuciture, peccato le mancasse mezza manica. La sua sacca era lì accanto, uno straccio informe buttato nel sottobosco, ma tutto ciò che conteneva era sparso lungo il pendio. Senza prendere fiato, si accucciò a ficcare di nuovo tutto dentro alla rinfusa: una corda, la sua vecchia pipa d’argilla, qualche trancio di carne secca, ago e filo, e una borraccia tutta deformata, in cui c’era ancora del liquore. Tutta roba buona, tutto utile. Impigliata a un ramo, c’era anche una coperta sbrindellata, fradicia e incrostata di fango. Quando Logen la tirò via fu piacevolmente sorpreso di trovarvi sotto, pieno di ammaccature, il suo vecchio tegame rovesciato su un lato. Forse l’avevano preso a calci durante lo scontro ed era finito lontano dal fuoco. Lo afferrò con entrambe le mani, provando un senso di sicurezza e di familiarità, nonostante fosse rovinato e annerito dopo tanti anni di costante utilizzo. Non sapeva neanche lui da quanto tempo ce l’aveva; se l’era portato dietro in tutte le guerre, per tutto il Nord, ed era sempre stato con lui. Tutti l’avevano usato per cucinarci e mangiarci durante gli spostamenti. Forley, Cupo, Mastino, tutti. Diede un ultimo sguardo all’accampamento e vide gli stessi tre Shanka morti, ma ancora nessuna traccia dei suoi. Forse erano riusciti a scappare. Se avesse corso il rischio, provando a cercarli…
«No», sussurrò. Ci ripensò subito. I Testapiatta erano arrivati in tanti, anzi, in troppi, e non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto privo di sensi sulla riva del fiume. Anche se un paio dei ragazzi erano riusciti a fuggire, gli Shanka li stavano sicuramente braccando nella foresta. Ormai non erano altro che un mucchio di cadaveri, sparsi per le vallate. L’unica cosa che Logen poteva fare era raggiungere le montagne per tentare di salvare la propria misera vita. Anche se fa male, bisogna essere realistici. «Siamo solo io e te adesso», disse Logen, infilando il tegame nella sacca che poi si gettò su una spalla. Quindi cominciò a risalire la collina zoppicando più veloce che poteva. Verso il fiume, verso le montagne. Solo loro due, lui e il tegame. Gli unici sopravvissuti.
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