La ragazza lo osservò un momento, stupita e leggermente divertita ma indecisa sul da farsi.
– Qual è il tuo nome? – chiese alla fine.
– Perché vuoi saperlo? – sibilò il cavaliere.
La ragazza sospirò.
– Il mio è Livith: questo i miei genitori scelsero e così voglio essere chiamata. Pensavo di usarti un’uguale cortesia, nel rivolgermi a te col nome che tuo padre decise.
Vedendo che l’altro esitava, aggiunse:
– Se poi ciò ti può tranquillizzare, sappi di non aver di fronte né spettro né demone, ma una comune donna, figlia di questa nostra Grande Bretagna almeno quanto te.
– Come mi chiamo non ti riguarda! – disse il ragazzo – Ho visto i fuochi fatui danzare al suono della musica e svanire quando essa è cessata. Erano un tuo sortilegio, non negare!
– Non intendo farlo.
– Simili prodigi sono propri di coloro che barattano la propria anima a Satana! – ribatté lui.
Livith scoppiò a ridere.
– E le armi che porti sono proprie di un cavaliere. Dimmi chi sei, e io farò altrettanto.
Senza abbassare la spada di un pollice, Edric rispose:
– Davanti a te, strega, hai ser Edric Brett, figlio di Richard il Bretone, colui che spezzò la sua lama nel collo e nel sangue di Thomas Beckett di Canterbury.
La ragazza, per nulla impressionata, replicò.
– Tu invece hai di fronte Livith Sterling, figlia di genitori dimenticati, rapita a otto anni dal Popolo Fatato e condotta alle dorate aule di Elfhame, la dimora dei sidhe.
– Ti prendi gioco di me oppure vaneggi come una pazza, ma in entrambi i casi non intendo prestare orecchio alle tue assurdità!
Livith sospirò chinando il capo, mormorò qualcosa e tracciò un segno dell’aria con la punta dell’archetto.
Edric sentì il palmo formicolare e con orrore vide la croce alzarsi dalla sua mano, come sorretta da fili invisibili.
Deglutì a vuoto, impugnando la spada a due mani.
– Stregoneria!
– Questa? – a un gesto della ragazza il simbolo sacro cadde nel fango – È soltanto un gioco da saltimbanco, proprio come i fuochi incantati che ti hanno attratto quaggiù. Saggi e potenti sono i sidhe, e poco o nulla hanno da spartire col tuo diavolo.
Prima di poter ribattere, Edric vide Livith irrigidirsi. La ragazza sistemò lo strumento, pronta a suonare.
– Stai pronto a difenderti – gli disse.
Poi il cavaliere udì rumore di passi in corsa e, prima di poter fare alcunché, dall’oscurità gli balzò addosso un essere da incubo.
La forma era umana per numero e disposizione degli arti, ma le membra erano di legno. Riuscì a distinguere un volto nella corteccia, distorto in un ghigno, circondato da rami spinosi.
Esitò in preda alla paura, mentre rovi affilati come rasoi puntavano alla sua gola. Fu allora che Livith suonò. Una nota, una sola, fredda e pura come un’alba d’inverno. Un brivido scosse il cavaliere fin nel profondo e rinvigorì i suoi muscoli con una forza che non sapeva di possedere.
Parò di piatto il primo assalto e ruotò il polso per contrattaccare. L’acciaio normanno morse il duro legno in una pioggia di schegge, senza tuttavia causare danni visibili. L’apertura nella sua guardia durò una frazione di secondo, ma tanto bastò alla creatura per colpire.
Tre squarci si aprirono nella cotta all’altezza del fianco e il sangue colò tra le maglie, inzuppando la giubba. Ma il cavaliere era al di là del dolore, il suo mondo ridotto unicamente alla lama che stringeva tra le mani.
Intanto, Livith aveva ricominciato a suonare.
Edric indietreggiò. Il mostro era veloce, e soltanto l’abilità con cui sapeva usare la spada lo aveva mantenuto in vita fino a quel momento.
Cambiò il ritmo della danza mortale che lo avvinghiava alla creatura mostruosa e quella lo seguì, sbilanciandosi per un solo momento. Tanto bastò.
Una finta a sinistra e un colpo, uno solo, forte, sicuro: la lama impugnata a due mani squarciò la chioma di rovi, spezzò i lineamenti deformi come un ciocco marcio.
La creatura cadde scalciando in una muta agonia e il cavaliere si trovò con un mucchio di rami secchi ai suoi piedi.
Livith aveva smesso di suonare e gli stava correndo incontro.
– Sbrigati! – disse prendendogli la mano – Potrebbero essercene altre!
Troppo sconvolto per replicare, senza riporre la spada, Edric si lasciò condurre via nella notte.
– Allora, hai deciso se sono una strega, un mostro o uno spiritello dalle gambe lunghe? – sussurrò Livith. Edric non disse nulla. Sotto di lui, il cavallo arrancava, affaticato dal peso di entrambi, lungo l’antica strada romana per Dover.
7 commenti
Aggiungi un commentoPiù spesso, e qui lo ribadisco! Oh, si!
Propongo una petizione!
Ah, niente super poteri? Tsè... Non siamo su fantasy magazine allora! Male!
È solo che sono delle vere chicche, accidentaccio...
Brava selezionatrice, bel lavoro tempo ben speso.
Grazie carissimo. quello che dici mi fa tanto piacere
(P.S. I superpoteri ce li ho ma non posso mica dirlo in giro... ^__-)
P.P.S. Aspetto qualcosa di tuo
Già, il buon Reginald sta giocando un po' a nascondino qui su FM...
Un racconto dal sapore particolare. Uno stile che non leggevo da tempo. Mi sono piaciuti molto i personaggi e i loro sentimenti; di quando in quando mi sono smarrito nelle ambientazioni e sono rimasto un po' sorpreso dalla facilità con cui si conclude il duello finale. Comunque, un racconto positivo per le atmosfere e per la riflessione sul sacro.
Rimane un velo di mistero sulla vera identità della bambina che compare all'inizio... non voglio spoilerare e mi fermo qui.
Racconto corretto e ben costruito, personaggi piacevoli, stile suggestivo e nitido come una spada antica. Trovo davvero gradevole questo periodare così nudo e luminoso, in grado di modularsi e adattarsi alla magia e al pensiero, alla lotta e alla poesia. Senza merletti od ombre eccessive, conduce lungo una storia intrigante, dolce e amara sulla lingua, classica ma non per questo meno godibile.
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