Un brivido attraversò il corpo stretto alla schiena di Edric.
– Ero convinta che mi avrebbe ucciso, anzi la implorai di farlo ma altri erano i suoi piani. Decise di rimandarmi nel mio mondo, con tutti i doni che Caolàn mi aveva fatto, ma disse che non avrei mai più dovuto rimettere piede nell’Elfhame. Tre giorni fa mi sono risvegliata tra le colline del Kent, e altro non so.
Il suo tono, ormai, era poco più di un sussurro.
– Questa dunque, Edric Brett, è la mia storia. Pertanto, dubito che tu possa capire quanto io sia felice di aver incontrato un cavaliere disposto ad accompagnare una ragazza a casa dopo il tramonto.
Edric si concesse qualche secondo di silenzio prima di replicare.
– Quello che tu hai detto, Livith Sterling, va ben al di là della mia comprensione. Io sono un uomo semplice, cresciuto nel culto della Guerra e della Croce, inadatto a giudicare di magia e altri mondi. Il tuo dolore però è sincero, e sebbene il mio aiuto sia nulla di fronte a ciò che hai dovuto patire, sono felice di potertelo fornire.
La ragazza esitò un momento, insicura su cosa aggiungere. Quindi, si limitò a stringere la vita di Edric più forte che poteva.
Le ore della notte scorrevano lente mentre le miglia si succedevano sotto agli zoccoli ferrati del cavallo.
Livith dormiva un sonno leggero, poggiata alla schiena di Edric. La maglia di ferro di lui, coperta da ruvida lana, le pareva il più comodo dei guanciali. Il lento ondeggiare della cavalcatura e la stanchezza l’avevano cullata verso un sogno felice dove non aveva mai lasciato la mamma.
Anche il cavaliere iniziava a sentire il peso della giornata, il fianco ferito aveva preso a pulsare dolorosamente. All’improvviso però venne strappato dal torpore in cui era scivolato: tirò con foga le redini per controllare il cavallo che scalciava e nitriva selvaggiamente, roteando gli occhi.
– Che succede? – domandò Livith, di colpo vigile.
– Qualcosa si avvicina. Puoi fare luce?
Prima che la ragazza potesse rispondere si udì un battito di mani, e l’oscurità venne rischiarata da una gran luce. Ai confini delle tenebre il cavaliere distinse una figura, e capì cosa intendesse Livith quando parlava dei limiti della lingua inglese. Stentò a formulare nella propria mente una descrizione dell’essere che sbarrava loro la strada.
Era di bassa statura, tuttavia ai suoi occhi più maestoso di tutti i re della Terra. I lunghi capelli di seta risplendevano del colore dell’oro lucidato e sotto le sopracciglia sottili gli occhi ardevano come braci.
Edric capì di trovarsi al cospetto di un sire del Popolo Fatato.
– Livith! – disse la creatura, e nella sua voce risuonavano canti di gloria e urla di agonia.
– Caolàn? – rispose la ragazza, insicura.
– Livith! – Ripeté l’altro – La mia bambina, la mia piccola, dolce Livith! Ho affrontato il vuoto che separa i mondi, gli abissi del tempo e dello spazio, soltanto per rivedere i tuoi occhi! Luce del mio cuore, sono tornato per te sola: le dorate aule di Elfhame sono vuote senza la tua musica e i tuoi sorrisi. Per te sono disposto a rinunciare a tutto, alla mia stirpe, all’immortalità, e vivere quaggiù, esule tra gli umani!
Dopo un lungo silenzio la ragazza trovò le parole per rispondere.
– A lungo hai viaggiato, nobile Caolàn, e davvero mi sorprende il tuo valore. Meglio sarebbe stato per te, o grande sidhe, restare alla corte di Niamh la Luminosa, strisciando tra le sue gonne come il cane che sei. Questa pertanto è la risposta della bambina che tu tanto ami: preferirei le pene dell’Inferno, piuttosto che sentire una volta ancora le tue mani sui miei fianchi.
L’espressione appassionata del sidhe mutò in rabbia.
– Stupida sciocca che si riempie la bocca di parole che nemmeno comprende! Le pene dell’Inferno, tu dici? Forse quelle basteranno a ricondurti alla ragione...
– No! – urlò Edric con tutto il fiato che aveva in gola. – Io non te lo permetterò, demonio! Questa ragazza è sotto la mia protezione e se intendi farle ancora del male, dovrai affrontare me!
– Edric, fermo! – gridò Livith, ma era troppo tardi.
Il cavaliere sguainò la spada roteandola alta sopra la testa, affondò i talloni nei fianchi del destriero che s’impennò, disarcionò la ragazza e si lanciò al galoppo caricando l’essere fatato.
Il sidhe rimase immobile inarcando le sopracciglia, stupito da tanta follia, poi batté le mani e la strada lastricata si aprì in due.
Rocce acuminate emersero con violenza, lacerando le zampe e i fianchi del cavallo che lanciò un nitrito di agonia e crollò rovinosamente a terra.
Pe miracolo, Edric riuscì ad atterrare senza danni e sfruttò lo slancio per proseguire la corsa.
7 commenti
Aggiungi un commentoPiù spesso, e qui lo ribadisco! Oh, si!
Propongo una petizione!
Ah, niente super poteri? Tsè... Non siamo su fantasy magazine allora! Male!
È solo che sono delle vere chicche, accidentaccio...
Brava selezionatrice, bel lavoro tempo ben speso.
Grazie carissimo. quello che dici mi fa tanto piacere
(P.S. I superpoteri ce li ho ma non posso mica dirlo in giro... ^__-)
P.P.S. Aspetto qualcosa di tuo
Già, il buon Reginald sta giocando un po' a nascondino qui su FM...
Un racconto dal sapore particolare. Uno stile che non leggevo da tempo. Mi sono piaciuti molto i personaggi e i loro sentimenti; di quando in quando mi sono smarrito nelle ambientazioni e sono rimasto un po' sorpreso dalla facilità con cui si conclude il duello finale. Comunque, un racconto positivo per le atmosfere e per la riflessione sul sacro.
Rimane un velo di mistero sulla vera identità della bambina che compare all'inizio... non voglio spoilerare e mi fermo qui.
Racconto corretto e ben costruito, personaggi piacevoli, stile suggestivo e nitido come una spada antica. Trovo davvero gradevole questo periodare così nudo e luminoso, in grado di modularsi e adattarsi alla magia e al pensiero, alla lotta e alla poesia. Senza merletti od ombre eccessive, conduce lungo una storia intrigante, dolce e amara sulla lingua, classica ma non per questo meno godibile.
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