Bournemouth, Inghilterra, una tranquilla località climatica affacciata sulla Manica. E’ lì che si spense, il 2 settembre 1973, quarant’anni fa, John Ronald Tolkien. Se ne andò
in una giornata di fine estate, ancora piacevolmente calda. Bournemouth era un villaggio particolarmente caro a Edith, la donna della sua vita, che lo aveva lasciato due anni prima.
In quegli ultimi giorni di vita, trascorsi sulle rive del mare, mentre sentiva la vita sfuggirgli, certamente Tolkien ricordò con commozione profonda la conclusione di Il Signore degli Anelli, la struggente partenza dei Portatori dell'Anello e degli Elfi di alto lignaggio che lasciavano per sempre la Terra di Mezzo Tolkien parla, in quelle pagine, di "tristezza benedetta e priva di ogni amarezza". Tale era lo stato d'animo, appena mitigato dalla solenne serenità che infondeva Gandalf, che ora portava al dito il Terzo Anello, Narya il grande. Sulle rive del Mare finisce definitivamente la Compagnia dell'Anello, un'epopea che nessuno voleva vedere conclusa, ma che doveva conoscere – come dagli imperscrutabili disegni di Iluvatar – il suo epilogo. Frodo aveva baciato Merry e Pipino e per ultimo Sam al quale era consegnato il testimone della memoria, il dovere del ritorno, il compito di tramandare il ricordo degli avvenimenti, perché la gente ricordasse il Grande Pericolo e amasse ancora di più il proprio caro paese.
Tolkien, anch’egli sulle rive del mare, stava per conoscere quello che aveva provato a suo tempo Bilbo, lo scopritore dell'anello, il coraggioso hobbit che un giorno di tanti anni prima per primo aveva seguito Gandalf sulle tracce di un tesoro finito tra le grinfie di un drago. Quel vecchio hobbit cosa aveva sentito, in quei momenti, nell'istante della partenza tanto a lungo attesa e paventata? L'ultima canzone di Bilbo gli portò forse al cuore e alla mente i sentimenti del piccolo grande eroe della Contea, con il suo ultimo canto, il suo testamento poetico, da cui traspare malinconia e fierezza, dolcezza e speranza, e il desiderio – quieto ma deciso – di vedere finalmente le "Isole ad Ovest più dell'Occidente, ove la notte è un sonno silente."
Ed è bello pensare che forse, gettando per un attimo lo sguardo proprio sulle vicende della Terza Era e sull'impresa di Frodo, ancora una volta provò la nostalgia della bellezza, della giustizia, della libertà, della Verità che suggella la conclusione anche del Silmarillion, il libro che Tolkien non era riuscito a portare a termine.
Infine, vinto dalla stanchezza, dalla vecchiaia, dal distacco dall'amata Edith e dalla nostalgia per la Terra lontana dove Dio dimora con gli Elfi e tutte le altre Sue creature, salpò per il Reame Beato, come prima di lui avevano fatto Gandalf e Frodo, Luthien e Beren.
John Ronald Reuel Tolkien si spense il 2 settembre 1973 all’ospedale di Bournemouth. Il creatore di miti entrava da quel momento, lui stesso, nel mito.
A distanza di quarant’anni coloro che lo hanno letto e amato non possono fare a meno di ricordarlo. L’eredità di Tolkien è più che mai viva: nelle sue opere immortali, nelle versioni cinematografiche, nel mondo del fandom e delle nuove generazioni di lettori che lo incontrano, nelle nuove pubblicazioni, come l’intrigante Fall of Arthur.
Tolkien resta una pietra miliare della letteratura dell’Immaginario: non si può prescindere da lui. È un maestro che ha tracciato una via, una strada che, come diceva Bilbo, va sempre avanti. A noi cercarla, percorrerla, approfondirla.
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