“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.”
[Amleto, William Shakespeare – atto I, scena V]
Lucca Games 2013. Le aule di Villa Gioiosa hanno ospitato come tutti gli anni un seminario di scrittura creativa a numero chiuso, tenuto in quest’occasione dall’autore Andrej Sapkowski (Guest of Honor 2013 per la narrativa fantasy), affiancato dal curatore di Fantasy Magazine ed Effemme Emanuele Manco.
L’argomento proposto costituisce uno dei temi cardine per lettori e autori di genere: “Vero e verosimile, un excursus sulla verosimiglianza della letteratura fantastica”.
Emanuele Manco ha iniziato un indagine sul tema, nata dal desiderio di capire il rapporto fra pura finzione e capacità degli autori di rendere tale finzione credibile. Qual è il meccanismo che permette allo scrittore di immergere il lettore nelle sue creazioni? Far pensare, divertire, spaventare, sbalordire, è un’abilità legata in parte alla tecnica, in parte a qualcosa di più.
Il seminario tenuto quest’anno ha permesso di conoscere l’opinione in proposito del pluripremiato autore polacco, conosciuto in Italia con la saga del Witcher Geralt di Rivia (Il guardiano degli innocenti, La spada del destino, Il sangue degli elfi, Il tempo della guerra), per i tipi della Nord Editore.
Le riflessioni e le domande poste dal nostro direttore e dagli appassionati presenti hanno permesso ad Andrzej Sapkowski di strutturare un discorso articolato, spaziando nell’universo della narrativa fantastica ed esponendo punti di vista personali, esperienza e suggerimenti pratici. Le tematiche affrontate sono state le più varie, organizzate secondo uno schema fluido, discorsivo e pronto a cogliere ogni spunto scaturito dalla discussione.
Esaminare il concetto di vero e verosimile serve a indicare, o almeno a tentare di farlo, le regole utili per costruire un mondo secondario efficace. Un punto da cui partire può essere quanto afferma Luigi Pirandello in Il fu Mattia Pascal: “La vita, in quanto vera per definizione, non ha bisogno di essere verosimile, mentre l’Arte ha necessità d’essere verosimile per sembrare vera”. Ovvero, la storia narrata non può non avere delle norme di base altrimenti il legame con il lettore si interrompe.
"Riguardo a questo" dice Andrzej Sapkowski "John R.R.Tolkien e Jonathan Carrol, affermano che se crei un mondo di finzione dove il cielo è giallo e l’erba blu nessuno ti potrà dire che non è lecito, perché tu l’hai creato quindi è reale. Da questo punto di vista, Anna Karenina è un personaggio immaginario come Bilbo Baggins. Carrol afferma: “Quando si comincia a scrivere un libro, la realtà viene messa da parte e si inizia a vivere dentro il mondo del libro".
Io sono in linea con questa posizione. Chi non è d’accordo con questo concetto afferma che Anna Karenina vive nel mondo della realtà, nella Russia che conosciamo, mentre Bilbo Baggins vive nella “never-never land”, una terra dell’impossibile. Tuttavia sono entrambi prodotti della finzione. La stessa cosa succede con l’Urban Fantasy, nella quale il mondo è quello “nostro”e improvvisamente nella via principale spunta qualcosa di irreale, per esempio un unicorno".
A questo punto sorge spontanea la domanda se ci sia differenza fra narrare di una città come Shangri-La e di una come New York o, più in generale, fra letteratura di genere e mainstream. Tutto è finzione?
La similarità che ho indicato fra i personaggi, precisa Sapkowski, è che sono inventati, non che Anna Karenina è fantasy. I libri di Tolstoj non sono fantasy. La differenza fra generi esiste, anche se a volte si fa sottile: autori come Italo Calvino o Umberto Eco sono assimilabili al genere fantastico, e non a caso sono molto amati anche dai lettori di fantasy e fantascienza, perché presentano dei tratti in comune.
Legato alla creazione di un mondo secondario è l’idea di fantasy come escapismo, in altre parole una fuga “colpevole” dalla realtà, argomento trattato anche da Tolkien.
Tolkien, dice Sapkowski, era contrario al concetto di fantasy come escapismo, ovvero che i lettori e scrittori di fantasy e fantascienza siano in qualche modo malati e cerchino di sfuggire ai problemi della quotidianità: la narrativa fantastica nasce perché lo spirito e la mente dell’uomo sono entità creative che stanno strette nella normalità dell’essere umano, e quindi inevitabilmente tendono a uscirne fuori per creare mondi fantastici e immergersi in essi.
Siamo quindi nel momento particolare in cui l’autore inizia la sua opera: quanta empatia ci deve essere fra lui e i fatti che narra? Deve essere distaccato o partecipe?
Esistono due scuole di pensiero in proposito, dice Sapkowski, la prima a favore, ovvero se si scrivono cose tristi bisogna essere tristi e così via, la seconda no. Personalmente quando scrivo non cambio il mio umore o comportamento in base alla storia. Non è che manco di empatia, ma non piango se i miei personaggi muoiono. Tuttavia questo è a discrezione dello scrittore.
8 commenti
Aggiungi un commentoLe cartelle si contano in caratteri, no?
Il problema non è la lunghezza di un libro: dipende dal contenuto. Si possono scrivere 100 pagine inutili, oppure 1000 pagine dense di eventi, dialoghi interessanti, descrizioni ben riuscite, ecc... Credo che l'Autore si riferisse al taglio degli elementi ridondanti o mal scritti, piuttosto che al numero delle pagine (o delle cartelle editoriali, o dei caratteri...poco importa).
A me è chiarissimo, ma visto il successo di King mi viene da dire che si possono ottenere entrambe le cose allungando il brodo là dove si può...
Diverse sono le strade della scrittua.
King sta per diversi aspetti all'opposto di Sapkowski. Il primo è uno che inizia un racconto senza sapere dove andrà a finire, per l'altro ciò è impensabile, non incomincerebbe nemmeno a scrivere se non "vedesse" la storia dall'inizio alla fine. L'uno, anche perché statunitense, non s'è mai (?) posto il problema dello spazio, l'altro scrive per poi ridurre all'essenziale. Finché le storie funzionano, voglio dire, tutto bene!
Solo, ecco, possiamo dire che Sapkowski è uno scrittore letterario, autoriale. Con questa motivazione, dopotutto, ha vinto il David Gemmell Legend Award.
La mia osservazione non era in tono polemico. Sono il primo che tende a "sbrodolare", ovvero a scrivere più del dovuto anziché limare. Semplicemente, non vedo nel numero di pagine di un libro un ostacolo. Ci sono pure minestre allungate che sono molto buone, quelle dove se no il sale si sentirebbe troppo. Dipende sempre dai casi.
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