PRELUDIO GR’RAVYEN
Ekhelon. – Anno 2037 del calendario Gr’ravyen.
Isola Madre, Monte Pastaruun, Roccaforte delle Tre Sorelle.
Sorella Kyil guardò oltre la bifora. Dall’alto della fortezza, inastata sul monte Pastaruun come una picca svettante sulla cordigliera, si potevano vedere con chiarezza le lussureggianti Valli Piangenti che confluivano nella pianura centrale, dove frangenti d’erbe smosse dal vento ondeggiavano sui verdi mari dalle correnti sinuose. Kyil vide lo scempio dell’esercito Gr’ravyen, e il sangue di tutti quegli uomini e di quelle creature sgorgare dall’erba come schiuma scarlatta in un oceano di sofferenza. E provò un brivido d’eccitazione.
Lasciò che la sua vista andasse oltre, verso le Colline Placide che velavano l’orizzonte e sembravano sorvegliare le valli con la loro ondulata catena armoniosa, come se cingessero la pianura con i loro fianchi arcuati e la proteggessero dal mare meridionale. Da là erano sciamati i Tèlleroan: nugoli di cavallette ipocrite e inconsapevoli, così legati alla loro misera e patetica vita, temprati dal volere di un dio inviso e forgiati dalla nascita di nove esseri immortali.
Kyil tornò a concentrarsi sulle Valli Piangenti. Era lì che si giocava il destino di Ekhelon. Non udiva le urla della battaglia e non distingueva corpi, armature e stendardi; percepiva solo il sangue, e le immagini fiottarono davanti ai suoi occhi come vividi spruzzi colorati, come tangibili visioni di un presente solo un poco distante dalla catastrofe.
Com’era stata possibile la loro sconfitta ancora non sapeva spiegarselo, ma la verità era che avevano fallito.
Lei aveva fallito.
Dopo secoli di dominazioni negli angoli più disparati del Cosmo, quel viscido mondo stava loro sfuggendo dalle mani; proprio ai Gr’ravyen, i Conquistatori di mondi, coloro che erano stati creati dal Dio della Conquista per cibarsi dei più deboli.
Sorella Persea aveva visto giusto nel prevedere la disfatta, e adesso niente sarebbe stato in grado di risanarla dalla follia imminente; e Sorella Melaya avrebbe cercato una qualche impraticabile via di fuga. Non vi era quindi modo di sfuggire al fato avverso?
La lunga vita immortale delle Tre Sorelle non doveva sottostare al destino dei Gr’ravyen, si disse. Kyil ripensò alla soluzione estrema che l’aveva tormentata negli ultimi mesi, dopo che i Tèlleroan erano sbarcati su Isola Madre, dopo che il destino della loro rocca era stato messo seriamente in pericolo. Gli agguerriti Tèlleroan chiamavano la loro dimora la Fortezza Nera, ma loro non sapevano chi erano realmente i Gr’ravyen; non sapevano che la Roccaforte delle Tre Sorelle era il nodo complesso di un intreccio ancestrale, vincolato a vetusti patti siglati con l’Empireo.
Il sussurro del vento schiaffeggiò i veli neri della sua veste e il freddo s’insinuò a baciare la pelle diafana, accarezzandola in un brivido di piacere.
Kyil continuò a osservare il paesaggio dinanzi a sé e comprese che per la loro salvezza non vi sarebbe stata altra soluzione. Quel pensiero autodistruttivo, che continuava a tormentarla da alcuni mesi, s’insinuò nuovamente in lei come un germoglio ai primi segnali della primavera, pronto a sbocciare.
Non sapeva quali sarebbero state le conseguenze di quel gesto estremo, sennonché Ekhelon avrebbe presto visto la fine dei suoi giorni.
Il Generale Yberros procedette lungo il buio corridoio che portava dalla rampa di ghiaccio alle stanze interne della fortezza. La sua armatura di piastre violacea era scheggiata in più punti, gli sbalzi degli schinieri e del pettorale ammaccati e sfregiati dall’urto del corpo a corpo con alcuni eroi Tèlleroan: un paio di Tealken d’Isola Povera, ormai ridotti a carne morta per i vermi.
Due umanoidi Scaven si appiattirono contro la parete al suo passaggio e numerose guardie Okly abbassarono lo sguardo, consce che fissarlo negli occhi significava affondare la mente nel dolore più intenso mai provato. Yberros era il comandante Gr’ravyen di tutta la spedizione su Ekhelon e guidava le truppe da oltre cinquant’anni; il suo giudizio militare era insindacabile, mentre per quello politico e religioso doveva sottostare alle parole delle Tre Sorelle, le uniche ad avere contatti con il loro dio protettore, le uniche a conoscere i segreti dei mondi e il viatico della conquista.
Yberros schiaffeggiò una delle guardie a protezione dell’ampio portone metallico che dava accesso alla stanza dell’Oracolo. Il soldato si scostò senza dire nulla e il Generale entrò spingendo con forza le due ante cigolanti.
All’interno, in una foschia vermiglia dall’effluvio pungente, udì un pianto flebile provenire dal fondo della stanza. La foschia non permetteva di vedere i massicci fusti delle colonne intarsiate che reggevano la volta a sesto acuto del soffitto, e neppure i tre altari d’ossidiana sui quali le Tre Sorelle consumavano i riti al Dio della Conquista. Yberros però conosceva bene quella stanza e si mosse all'interno con disinvoltura, arrivando sino al catafalco centrale dove, in una polla circolare deposta nel centro, riposava l’Acqua Sacra, strumento di ogni oracolo.
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