Questa idea, come noto a chi ha una certa dimestichezza con la letteratura fantasy, non corrisponde necessariamente al vero, considerato che non solo la religione è del tutto assente in alcuni testi, ma anche che in altri è evidente l’esistenza di uno o due principi primi (monoteismi o sistemi dualistici). Tuttavia, non si può certamente negare la fortuna del politeismo in questo tipo di letteratura: i Forgotten Realms, per esempio, pullulano di dei, come anche il mondo di Krynn della nota serie Dragonlance di Margaret Weis e Tracy Hickman.

Generalmente, i politeismi fantastici prendono a prestito alcune caratteristiche dei più noti politeismi dell’antichità, di cui il modello greco è, probabilmente, il più noto: esiste una gerarchia divina, organizzata secondo una precisa logica, in cui gli dei, più o meno immortali, ma non esistenti da sempre, hanno legami di parentela e un preciso ambito di competenza. (2) Il culto di un particolare dio può essere legato tanto alla sua sfera di potere (Afrodite come dea della bellezza, etc.) quanto all’origine etnica (cioè alla provenienza geografica) della persona o della città che venera un particolare dio, come accade, per esempio, nel mondo vicino-orientale, in cui è più evidente il legame tra dio e città originaria. Le religioni politeistiche, dunque, sono religioni etniche: un popolo si riconosce in base al dio che venera.

Questa caratteristica, che non sempre si riconosce ancora nei culti politeistici antichi, è più o meno presente anche nella letteratura fantastica. Esemplare, in questa direzione, è l’analisi del Ciclo dei Belgariad: pur presentando in modo chiaramente stereotipato diverse tendenze culturali e religiose, Eddings mostra differenti modi di approccio tra i personaggi e le loro divinità. Gli dei di Eddings, antropomorfi, imperfetti, umanizzati nel loro modo di fare, sono un elemento indispensabile del mondo di Garion e dei suoi compagni. Il dio filosofo Aldur sembra in un primo momento totalmente indifferente alla sorte umana, al punto da dimenticare il suo popolo, che rimane privo di un dio fino all’intervento misericordioso di UL; tale indifferenza sembra rispecchiata dal tono con cui accoglie la prossima morte per freddo del giovane Garath davanti alla sua porta. Eppure, anche il riflessivo Aldur, sempre provvisto di un apparente corpo umano, talora di un vecchio col carretto, talvolta di un saggio filosofo, sembra dotato di caratteri altrettanto umani, che esulano dal semplice aspetto fisico. Aldur apprezza la compagnia dei suoi discepoli, si dispiace per la sorte del fratello Torak o per la dipartita di alcuni dei suoi discepoli.

Il suo corrispettivo malvagio, Torak, è presentato, alla fine del ciclo dei Mallorean, come un semplice errore cosmico: la sua natura divina è resa imperfetta dall’incidente che ha strappato in due parti l’universo, evento che spiega la creazione del male nel mondo, puramente accidentale e dunque non imputabile a nessuna delle divinità, che pure, per questo motivo, vedono di molto diminuita la loro “onnipotenza”. Torak è umano nell’aspetto e nel comportamento, ma disumano nella sua eternità, che lo porta a soffrire per il contatto con il Globo per la sua intera, interminabile vita: la natura divina di Torak si mostra nella sua forza e nella sua (apparente!) immortalità.

Anche gli altri dei fratelli dimostrano caratteri ben poco divini: Issa, addormentato per non patire pene d’amore, Mara, schiacciato da un’altra passione umana, il dolore per la scomparsa del suo popolo, Belar, che gradisce con grande evidenza la compagnia femminile, Nedra, che dedica la sua attenzione al denaro.

Come questi dei dimostrano la loro vicinanza all’umanità, allo stesso modo il loro clero, ove presente, si dedica ad attività ben più umane che divine: il caso dei sacerdoti di Nedra e della loro propensione all’arricchimento (con il denaro che diventa il vero dio dei Tolnedran) è certamente esemplificativo. Gli dei sono come umani potenti a un grado superiore: possono compiere azioni incredibili (come sollevare un continente e spostare un mare), ma in fondo non sono altro che esseri simili all’uomo.

Solo UL, il Padre degli Dei, sembra innalzarsi a un livello più elevato, ma anch’egli dimostra la sua tendenziale umanità nell’accettare, potremmo dire per sfinimento, le preghiere di Gorim; il suo popolo dimostra un fervore religioso più sincero rispetto a ogni altro (fatta eccezione per gli Angarak, la cui religiosità è scalfita dal terrore del sacrificio o dal troppo amore per esso), mostrando i rischi di un eccessivo fanatismo, evidenziato con tratti ironici nel personaggio dello zelota Relg e nella sua relazione con Taiba. Anche i rimproveri che UL stesso muove a Relg nel corso del loro iniziale incontro, riguardo all’insano orgoglio dello zelota, portano la figura del dio padre su un piano etico, più vicino al modo occidentale di intendere la divinità: ma anche in questo caso, l’ironia della penna di Eddings dipinge il percorso di pentimento di Relg ai limiti del comico, rendendo al contempo il personaggio più credibile ed estremamente umano. Eppure, anche UL mostra caratteristiche umane: egli condivide l’orgoglio di Aldur per Belgarath, rimane sorpreso, come gli dei suoi figli, per alcune svolte negli avvenimenti, prova dolore per la morte del figlio Torak e gioia per il riconoscimento della divinità di Eriond.