Proprio questo complesso personaggio, che segna il passaggio dal ciclo dei Belgariad a quello dei Mallorean, presenta delle caratteristiche che lo distinguono notevolmente rispetto alle divinità con cui è imparentato: nel Belgariad, Errand/Incarico è il bambino puro, la cui innocenza assoluta permette il furto del Globo di Aldur. Fin dal suo primo apparire in scena, Errand ha uno statuto speciale, poiché la sua completa innocenza è caratteristica totalmente unica non solo tra gli uomini, ma anche tra gli dei: si pone, potremmo dire, al di là di entrambe le categorie, poiché può fare ciò che nessun’altro, ad eccezione della stirpe di Riva, è in grado di compiere, cioè posare la mano sul Globo.

Nel passaggio tra i due cicli, la fisionomia di questo personaggio muta considerevolmente, anche in virtù della sua età, che lo rendeva difficilmente protagonista alla fine del Belgariad: nel Mallorean, Errand cambia nome, ottenendo da UL in persona il suo nuovo nome divino, Eriond. Fin dall’inizio della saga, sappiamo che Eriond avrà un destino particolare, in quanto rivale eletto nello scontro da Zandramas in persona; e la differenza tra il bambino-ragazzo e i suoi compagni è evidente per il distacco che le qualità morali di Eriond creano con il resto del gruppo.

L’ascesa di Eriond a divinità, alla fine del Mallorean, appare come una restaurazione del bene originario: unico tra gli dei, il nuovo dio ha la possibilità di vivere sulla terra e di proteggere il suo bistrattato popolo. Eriond, dunque, si configura come una divinità che potremmo definire più divina, poiché pur essendo apparentemente umano ha caratteristiche morali che non sono umane. La differenza tra uomo e dio, dunque, alla fine del Mallorean, non deriva più da una distinzione di poteri puramente fisici, ma da un elemento posto su un altro piano, in questo caso, appunto, morale.

E d’altra parte, nel ciclo dei Mallorean la riflessione religiosa sembra approdare a un livello di maggiore consapevolezza, come evidente nell’inserimento della figura del Sardion e della seconda Profezia: se infatti nel Belgariad il male è rappresentato soltanto dal dio folle Torak, nel Mallorean non solo viene spiegata l’origine della follia del dio, ma anche il motivo per cui esiste il male all’interno dell’universo. La contrapposizione tra le due Profezie, che potremmo definire come il destino dell’intera creazione, si evidenzia nella contrapposizione tra le due pietre, il Globo di Aldur e il Sardion: le pietre e Profezie rappresentano un livello di divinità, un potere superiore a quello degli dei stessi e a cui gli dei devono sottomettersi, una forza che permea l’universo intero e che potremmo definire, in un certo senso, come il Destino. La scelta compiuta da Ciradis alla fine del Mallorean, infatti, stabilisce quale dei due destini creati dalla scissione del cosmo avrà continuità e quale, invece, servirà da pezza per l’universo intero.

Il dualismo, cioè la presenza di un principio del bene e uno del male, che sembra il filo conduttore di tutto il ciclo dei Mallorean, si risolve nel ritorno all’unità della creazione, che può finalmente ritrovare il suo scopo originario: il principio del male, che ha creato lo sdoppiamento della Profezia (cioè del destino) è al pari di Torak un errore generato dalla casualità, che deve essere riportato ad unità. Come osservato dalla voce della Profezia che accompagna Garion, l’unità non è rappresentata da nessuna delle due profezie precedenti, ma da una nuova, poiché la voce precedente sarebbe ancora legata alla sua esperienza di sdoppiamento: dunque, anche la più potente forza dell’universo, il destino che accomuna uomini e dei, sembra risentire, almeno in parte, della caratteristica umanizzazione delle divinità di Eddings. Anche la voce della Profezia, infatti, può provare risentimento per gli avversari e simpatia per i propri compagni di viaggio. Ma, poiché il tempo non ha senso nella sua prospettiva totalmente atemporale, la voce, con gran sollievo di Garion, continuerà a presentarsi a lui anche in un momento successivo alla scelta di Ciradis.

Nel complesso, dunque, Eddings individua l’importanza della religione e del culto per il mondo che ha creato, ma non risparmia nemmeno le divinità dalla sua ironia: gli dei, di qualunque livello, esistono, pur non essendo, in fondo, così diversi da noi. Gli esseri umani, pur dotati di un numero quasi infinito di difetti, sono portatori di valori e di modi di essere che possono essere utili alle divinità stesse: Aldur si umanizza in compagnia dei suoi discepoli, e la Profezia stessa subisce un processo simile grazie a Belgarath e alla sua famiglia. L’umanizzazione degli dei sembra, in effetti, un prodotto della profonda fiducia di Eddings nel genere umano, tale da mettere il destino dell’intero universo nelle mani di una giovane donna.