Futuro prossimo. I droni da combattimento della OmniCorp (OCP per gli amici) mantengono più o meno l'ordine mondiale al servizio del non ancora tramontato impero degli Stati Uniti. Ovunque, tranne che negli USA. Fedeli al motto "non nel mio giardino", gli statunitensi non vogliono che sul loro territorio ad agire sul fronte dell'ordine pubblico siano le macchine, con motivazioni falso-moraliste.
Tutto questo si trasforma nella perdita di un business colossale per la Omnicorp, presieduta dal CEO Raymond Sellars (Michael Keaton). Cosa potrebbe convincere il Congresso degli Stati Uniti ad abrogare la legge che vieta l'uso dei robot sul suolo statunitense? "Mettiamo l'uomo dentro la macchina!" è l'ordine di Sellars.
Il dipartimento comandato dal Dr. Dennett Norton (Gary Oldman), che si occupa di innesti cyborg per chi ha perso gli arti, viene incaricato di reperire un soggetto adatto all'uopo. Questo viene individuato in Alex Murphy (Joel Kinnaman), un poliziotto che è stato dilaniato da un attentato esplosivo mentre indagava sulle possibili connivenze tra poliziotti corrotti e il trafficante di armi Antoine Vallon (Patrick Garrow). Ovviamente i problemi di Murphy non finiranno con gli innesti cyborg. Anzi si complicheranno non poco.
La storia ha la volontà di mostrarci la fragile natura umana fronteggiare lo choc dell'essere diventata più macchina che uomo, ai quali si unisce il conflitto derivante dalla non perfetta interazione tra la programmazione del suo software e il libero arbitrio proprio dell'essere umano.
Murphy dovrà inoltre superare l'addestramento del veterano al servizio della OmniCorp, Rick Mattox (Jackie Earle Haley) e risolvere il mistero della sua "morte", senza dimenticare di cercare di ricostruire un rapporto con la moglie Clara (Abbie Cornish) e il figlio David (John Paul Ruttan).
Su tutto, a suggellare come un coro greco i momenti di supposta tensione, la voce dei media, l'anchorman reazionario, forse un po' fascistoide, Pat Novak (Samuel L. Jackson).
Di ingredienti e temi potenzialmente validi il film ne avrebbe.
L'incipit sembra portare su scala planetaria i conflitti della versione 1987, attualizzandoli alla luce di quanto successo dalla prima Guerra del Golfo in poi. Non manca il riferimento alla globalizzazione e al decentramento della produzione industriale, mostrando uno stabilimento OCP situato in Cina.
Il film perde proprio la sua ragione d'essere nel presentare una realtà USA-centrica, nella quale Detroit, che nel frattempo ha avuto un crollo economico che anche il film del 1987 poteva immaginare, è ancora una città leader di una nazione leader. Un quadro che non appare più credibile.
L'idea che droni progettati negli Stati Uniti ma assemblati in Cina possano essere utilizzati a Teheran è il sogno proibito di molte amministrazioni USA, ma la sua collocazione in un futuro tutto sommato prossimo (il 2029) non regge alla prova della sospensione dell'incredulità. Gli Stati Uniti d'America attuali, ritirati su se stessi dalla crisi economica e dall'ascesa della potenza cinese, non sono più oggi l'ago della bilancia, anche se gonfiano ancora i muscoli. A meno che non si supponga che la OCP sia al servizio del governo dell'Iran, ma il film non è chiaro su questo punto, forse in modo volutamente ambiguo.
Inoltre la rappresentazione dei terroristi suicidi è uno stereotipo ormai abusato.
È un futuro in cui le corporazioni avranno più potere dei governi quello di RoboCop? Quello del 1987 lo era, quello della versione 2014 non è chiaro.
Il confronto non era voluto. Non amo basarmi sui precedenti per valutare la qualità di un reboot. Ma il problema di fondo di questo remake è proprio la sua coerenza interna della sua sceneggiatura, che frana anche in vari momenti. Per esempio quando si dimentica dell'atto per il quale i robot non possono essere presenti sul suolo americano, giusto per mostrarci uno scontro tra RoboCop e la versione reboot di ED209. A meno che non siano stati teletrasportati in poche ore dopo l'abrogazione della legge che ne proibiva la presenza.
Anche scopi e complotti della OmniCorp sono abbastanza risibili in sé, senza fare confronti. Il filo narrativo che dovrebbe legare OCP, politica corrotta e delinquenza comune è appena accennato, tanto quanto basta per aspettare la prossima sparatoria. Le tante pause nella narrazione vorrebbero rappresentare i momenti d'introspezione del film, quelli in cui i personaggi si confrontato con se stessi e con gli altri. Più in stile anni '70 che anni '80 da questo punto di vista e mi hanno ricordato gli affrettati tentativi delle serie dell'Uomo Bionico e della Donna Bionica. Non sono supportati da dialoghi incisivi e rimangono anche in questo caso solo dei momenti di pausa prima degli scontri.
Altre scelte lasciano perplessi, come quella di calcare l'enfasi sulla riduzione di Murphy a testa, apparato respiratorio e una mano. Non è ben chiaro poi come la fusione del cervello con il software abbia generato una capacità di calcolo così potente da esplorare il database di tutti i crimini di Detroit e trovare più di 600 correlazioni tra reati e colpevoli in pochi secondi. Possiamo accettare che sia così per esigenze narrative, perché le storie interessanti non sono quelle dei fallimenti ma di quelle singolarità che hanno successo, ma in questa sceneggiatura il salto logico non è ben supportato.
La parte action e fantascientifica è realizzata in modo diligente, nella media del genere, ma anche senza momenti di vera tensione, o di sorpresa anche visiva dello spettatore. La violenza è nello stile edulcorato e politicamente corretto del thriller mainstream di oggi, con l'obiettivo di non andare sotto il PG13 pena la non vendibilità del prodotto.
RoboCop di José Padilha è un film messo insieme mescolando elementi che da soli potevano essere validi e potenzialmente interessanti, ma messi insieme senza cura, senza vera passione, generano un risultato minore della somma dei fattori.
1 commenti
Aggiungi un commentoMolte lacune nella sceneggiatura a quanto letto. Preferisco rivedermi l'originale.
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