Qual è il tuo approccio alla scrittura horror di The Tube?

Conoscevo la saga madre ideata da Franco (Forte), apprezzandone soprattutto la claustrofobica idea di partenza, quella del treno in metropolitana. Poi una notte (il Grande Lupo lo fa sovente) mi chiama Altieri e mi racconta dello spin-off che sta progettando, quello della Stazione 334 che sta in alto sulle cime innevate di un’imprecisata cordigliera e  dalla quale si  capta una trasmissione proveniente dal basso, di sicuro dal treno, e qui si apprende la mostruosa Apocalisse in atto nel mondo, provocata dal Morbo. Lo spin-off s’intitolerà The Tube Nomads, mi informa Sergione, e le varie puntate, come per la saga madre, saranno affidate a  famosi nomi della letteratura pop italiana. “Vuoi farne parte?”, e va da sé che rispondo di sì. Vedi, io nella mia “formazione” – se mi passi il termine che non mi piace molto – ho avuto pochissimi modelli e forse un idolo solo. Quest’ultimo si chiama Alan D. Altieri che 34 anni fa mi colpì al cuore con Città oscura. Perciò gli dico sì incondizionatamente. Perché con Sergione dal mio punto di vista funziona così. Mi faccio allora spiegare la traccia del contenitore seriale dello spin-off, ovvero 4 superstiti della 334 che scendono – a piedi! – verso la civiltà, laggiù in basso, devastata dal Morbo, e mi sento a casa. Perché da anni sogno di scrivere la mia versione, per capirci, de La Cosa di Carpenter. Va pure  da sé che si devono rispettare le coordinate, le regole e persino il linguaggio delle prime due puntate prodotte da Sergione. Ma il Lupo sa bene che, quando si chiamano Arona e altri a un progetto collettivo del genere, ogni autore porta con sé un pezzo del proprio mondo e il puzzle che viene a formarsi, mentre Korvin & Company scendono verso l’inferno (ma il viaggio stesso è l’inferno…), è qualcosa di affascinante, spiazzante,  e, in ossequio al tema portante  della saga (il contagio), di “contaminante”. Nel senso che le scritture di Altieri e di Arona si combinano e si modificano a vicenda, in un gioco che è proprio “virale”. Perciò in Ghost in the Machine ci sono per forza gli ingredienti tipici della saga di Altieri, ma troverete anche materiali tipicamente “miei” all’insegna del motto “Nulla è ciò che sembra”. Persino gli infetti… In conclusione, ho tentato di portare dentro la saga techno-action un po’ di sano climax gotico. C’è spazio persino per Edgar Allan Poe!

Cosa ne pensi del contest di The Tube?

Geniale. Ma poi anche in perfetta condivisione con “la musica che gira intorno”. Devo confessare che, pur avendoci scritto un saggio (L’alba degli zombie per Gargoyle, con Pascarella e Santoro), sono stato per un po’ di tempo dubbioso sul fatto che cinema e letteratura potessero proseguire ad libitum sulle tematiche apocalittiche tra morbi, virus pandemici e “locuste” infette. Invece ho dovuto ricredermi. La grande idea di Romero del ’68 è divenuta un genere a sé stante che continua a partorire, tra il sempre seguitissimo The Walking Dead e il serial della Multiplayer, ottime svisate e incursioni d’autore (Avoledo, per citarne uno). Voglio però spezzare una lancia a favore di un grande italiano  che non deve cadere nell’oblio. Sto parlando di Emilio De’ Rosignoli e del suo H come Milano, targato 1960. I primi zombie meneghini stanno lì. Leggere per credere.

L’ingrediente vincente della saga di The Tube?

Adrenalina. Scritture serrate. Immedesimazione primaria tra lettore e personaggi. Persino un certo tasso di verosimiglianza, merito soprattutto di un substrato medico-scientifico di altissimo e preciso livello. Insomma, qui come in qualche altro caso altrettanto azzeccato, puoi anche crederci. E questo ti cattura e ti butta dentro. Vale anche per i Nomads.

Come si è evoluto il genere horror nel corso del tempo? Cosa è cambiato?

Purtroppo non si esaurisce l’argomento, immenso, in poche righe. Anche perché a naso, sull’altra faccia della Terra, tempi e caratteristiche di evoluzione godono di favori e attenzioni che qui in Italia proprio non esistono.  E mai esisteranno, forse. Facendola molto breve, è evidente che l’horror ha partorito per “gemmazione” tutta quella vasta prole a target in buona parte femminile che da Twilight in poi ha favorito sottofiloni di volta in volta  battezzati young adults, paranormal romance, urban fantasy, e via catalogando. L’importante in questo terreno è di non fare troppa paura, evitare gli eccessi, bandire lo splatter e annacquare il tutto con iperglicemica melassa. Mi capita ancora oggi di sentirmi dire: Non leggo i tuoi libri perché fanno troppa paura, o, recentissima, ho dovuto smettere Cronache di Bassavilla perché non dormivo più la notte, soprattutto perché mi svegliavo spesso alle 5, 20… Certo, in parte mi sento molto gratificato perché, se faccio paura, missione compiuta! Ma, se non mi leggi per la stessa ragione, qualcosa non mi torna. Poi, al di à che la crisi economica ci ha messo dentro una pesante ipoteca, c’è da dire che in qualità di  scrittori horror “senza se e senza ma” dobbiamo ancora lottare per superare il demenziale pregiudizio di cui soffriamo a causa dei nostri cognomi che non sono anglosassoni. E’ proprio su questo fronte che l’horror, quello vero e italiano, insiste con assoluta convinzione nella sua più apprezzabile mission: lo sperimentalismo. Proprio perché siamo – parlo anche a nome do altri, ma non voglio scendere nell’anagrafe, chi si vuol riconoscere faccia un fischio… – un po’ autori clandestini e un po’ “ultimi eroi” (Segretissimo docet), stiamo sperimentando alla grande, interfacciandoci come si conviene con altri filoni, generi e atmosfere. Dai fumetti tipo Splatter ai serial in e-book, che non sono soltanto The Tube. Limitandomi a due esempi che conosco bene, Io sono le Voci è un modello in cui l’horror, all’apparenza non supernatural, si impadronisce degli schemi della detection all’italiana (quella dei 1000 commissari di provincia, per capirci), mentre tutta l’opera della coppia Rosati/ Arona, innesta l’horror in altre categorie, formulando persino la proposta del  Medical Ghost Thriller, che pare un ossimoro e senza dubbio in parte lo è. E questo è autentico sperimentalismo.

Quali consigli daresti a coloro che partecipano alla selezione?

Beh, star dentro a una saga significa in primo luogo umiltà e rispetto delle regole. Poi bisogna capire quando e in che misura l’autore possa esprimere i suoi personalismi. Insomma, è un sottile gioco di equilibrio tra il generale e il particolare. Con Sergione, poi, e i suoi Nomads, siamo all’accademia militare… Right, scherzo.

Ci descrivi, senza troppi spoiler, la trama del tuo racconto?

Quattro Nomads, comandati da una donna-guerriero di nome Korwin, scendono dalla stazione 334 diretti verso il basso, da dove hanno captato un segnale di possibile sopravvivenza. Una strada verso l’inferno lastricata di pessime intenzioni, soprattutto da parte dei nemici che ti aspetti. Purtroppo ci sono anche quelli che NON ti aspetti, dalle parti di una stazione ponte-radio abbandonata in una fossa della cordigliera. L’ultimo posto al mondo in cui entrare, ma è notte e i quattro sono sfiniti. Devono riposare. Anche perché cominciano a percepire strane allucinazioni…Piccolo assaggio, il resto va letto.

Quali i capisaldi della tua scrittura, in termini di stile, per questa meravigliosa saga Horror?

Uno solo. Restare Danilo Arona, riconoscibile per atmosfere e tematiche, nell’universo tecnologico e militare di Sergio Altieri. Questo mi ha chiesto in buona sostanza Alan D. e spero che sia andata bene. Peraltro non pensavo di essere autore del terzo capitolo. Avevo concepito la storia come un episodio di metà saga. Invece Sergio, buon segno, l’ha letta e con un paio di modifiche “di raccordo”, l’ha proposta subito a Franco. Mi hanno comunicato Benvenuto a bordo ed eccomi qui con Ghost in the Machine.  Ovvero, se pensate che i fantasmi non ci azzecchino con gli zombie, siete fuori strada…

Progetti per il futuro?

Un terzo libro con Rosati. Meno medical e più metafisico, una visione dell’Apocalisse che parte da un miniracconto che ho scritto proprio per Franco e par l’antologia 365 racconti sulla fine del mondo. Una graphic novel su Melissa, ispirata alla lontana da Protocollo Stonehenge. Infine il mondo là fuori mi chiede sempre racconti per antologie varie e non mi nego mai. Se resiste la vista… Ma detto fra noi ho un’ideona per L’inverno di Montebuio.