C’è molto horror in questi primi giorni del festival della fantascienza, mostrato in tutte le sue forme, che vanno dal fracassone The Park sino agli imperdibili film sceneggiati da Jimmy Sangster, passando dalle pellicole prodotte dalla Hammer Films.
La concessione della giornata alla fantascienza prende le forme di Tempus Fugit, un film spagnolo del 2003 in lizza al concorso Neon che narra di bizzarri viaggi nel tempo possibili grazie a pillole miracolose, e al grottesco Atomik Circus, film francese del 2004.
Ma torniamo al film di Andrew Wai Keung Lau del 2003 e alla storia di un parco divertimenti costretto a chiudere a causa della morte accidentale di una bambina e dei successivi, numerosi incidenti mortali. La scomparsa di Alan, un giovane ragazzo deciso a far luce sui misteriosi fatti accaduti, convince la sorella Yen e un gruppo di amici a mobilitarsi per ritrovarlo. Scoprirà che il Luna Park è infestato da fantasmi che esigeranno un alto tributo di sangue.
Lo sforzo produttivo è notevole e include il tentativo di inserire delle parentesi in 3d, con l’utilizzo dei detestati occhialetti che donano al mondo della celluloide una parvenza di profondità e lo trasformano in una finzione monocromatica.
Sul film c’è poco da dire: il paragone con il Luna Park da cui il tutto prende le mosse non è azzardato: assordante, superficiale, ostentato, chiassoso. La sceneggiatura è trascurabile, la psicologia dei personaggi involontariamente comica. Un buon esempio di come non fare film horror.
In netto contrasto con la contemporanea proiezione dello storico Dracula (1958) sceneggiato da Jimmy Sangster e all’horror della Hammer Film di cui è in corso una retrospettiva e di cui si è parlato nell’intervento che ha visto protagonisti Giuseppe Lippi (Urania), Carlos Aguilar (Guia del Video-Cine), Lorenzo Codelli (Positif), Javier Romero (Quatermass), Kim Newman (Sight & Soul), Alan Jones (Fangoria), e I. Q. Hunter (De Montfort University).
Una sorta di passaggio, per dirla con le parole di Lippi, dalle lacerazioni e mutilazioni del corpo tipiche dell’horror moderno alle afflizioni spirituali legate alle leggende dei vampiri e dei lupi mannari.
Si tratta del passaggio a ritroso dall’ossessione per il corpo a un’inquietudine più spirituale.
Le piaghe, le decapitazioni, l’antropofagia, per i morti che resuscitano per divorare letteralmente i vivi, per mangiarli senza alcuna metafora, la pretesa di esaurire nel corpo ogni cosa, lasciano il posto all’inquietudine senza corpo dei prodotti Hammer, che nasce dall’impossibilità dello specchio di riflettere l’immagine del vampiro.
Un tipo di cinema che per alcuni è morto, e per altri trova eco in produzioni come il Dracula di Coppola, Intervista con il vampiro o la vera storia di Jack lo Squartatore ma che comunque ha trovato la sua celebrazione in novanta minuti di appassionata riscoperta da parte di veri estimatori del genere.
La serata horror si è conclusa con la proiezione di The mummy e The brides of Dracula, film del 1959 e 1960 di Terence Fisher, e I tre volti del terrore di Sergio Stivaletti con la presenza di John Philip Law, attore di Alta infedeltà, Polvere di stelle, E venne la notte, Il Barone Rosso. Uno dei più versatili attori mai giunti in Italia, capace di interpretare e caratterizzare personaggi molto diversi fra loro, legato alle icone dell'angelo di Barbarella e dell'unico, vero Diabolik, quello portato sullo schermo da Mario Bava
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