Dorian lo segue senza fiatare, aspettando che la rabbia sbollisca. Negli ultimi mesi i suoi scatti d’ira sono sempre più frequenti, basta poco per mandarlo su tutte le furie.

— Cos’è successo, Henry? — gli domanda mentre procedono lungo una via in discesa.

— I francesi sono persone troppo volubili, Dorian. In costanza e affari non sono termini che vanno d’accordo.

— Ha cambiato il prezzo? Quanto ti ha chiesto?

Henry lo guarda di sottecchi. — Oh no, ci mancherebbe. Se avesse cambiato il prezzo si sarebbe trovato la punta di questo ombrello piantata fra le natiche! Non voleva più vendermi il quadro, e sai perché? Perché se n’è innamorato. Ti rendi conto? Quel pezzente non sa nemmeno cosa significhi amare l’arte.

Furioso, Henry gli indica di proseguire lungo una via alberata sulla sinistra.

— E quanto l’hai pagato?

— A tuo avviso quanto vale?

Il ragazzo ci pensa un po’, quindi scoppia a ridere.

— Un quarto di franco per ogni minuto che sono rimasto inchiodato su quel maledetto sgabello.

Henry scuote la testa, affatto divertito. — Sei intelligente e hai sempre avuto un buon occhio critico. Sai distinguere la spazzatura dagli oggetti di valore. Hai studiato nel miglior college di Londra. L’arte, mio caro Dorian, potrebbe essere il tuo futuro.

— Di sicuro il mio futuro non sarà mai quello di commerciare l’arte, come fai tu. Io voglio essere arte. Je suis l’art.

— I tuoi genitori sarebbero felici di sapere che segui i miei insegnamenti — si stizzisce Henry. — Lo sai bene.

Basta quella frase per far innervosire Dorian. È il solito gioco che si ripete da quando è diventato maggiorenne e può disporre dell’eredità di famiglia. Henry affronta la questione del suo futuro, gli suggerisce di seguire le sue orme e diventare così uno dei più importanti commercianti d’arte di Londra. Dorian, che non è di quell’idea, ribatte in modo sarcastico, allora Henry tira in ballo i suoi genitori, morti di colera nel 1901 al ritorno da un viaggio in America. Sempre la stessa storia. Stavolta, però, Dorian mantiene il controllo. Anche se Henry non è più legalmente il suo tutore, è diventato un amico in sostituibile. L’uomo che ammira, il padre che ha perduto.

— Non ti preoccupare, saprò mettere a frutto i miei studi — lo rassicura.

Henry attraversa la strada. Un’auto inchioda a un metro da lui. L’uomo alza l’ombrello e lo sbatte contro il cofano. Impreca in inglese, poi in francese. Alla guida c’è un signore di mezza età, che spalanca gli occhi ma non replica. La stazza di Henry suggerisce sempre un’attenta riflessione prima di attaccar briga.

— E come? — chiede il tutore con tono scocciato.

Dorian fa spallucce. — Mi piacciono la religione cristiana, la massoneria, i miti greci.

— Vuoi insegnare, quindi?

— E avvizzire come tutti i docenti incartapecoriti?

No, grazie.

— Hai ancora molti anni davanti prima di diventare vecchio, Dorian. Ma il tempo tende a evaporare come rugiada al sole. È giunto il momento di pensare seriamente al tuo futuro.

Il ragazzo lo ascolta appena, lo sguardo incuriosito osserva le strade del quartiere. Si trovano in una via ampia, i marciapiedi sono gremiti di persone e dalle strade laterali sbucano ragazze con vestiti succinti e décolleté in bella vista, i seni strizzati dai corpetti aderenti.

— Donnacce! — borbotta Henry.

Dorian ride. Sono a Pigalle, il cuore della lussuria di Parigi.

— Peccato che gli impegni stasera mi portino altro ve — commenta Henry, indicando il lato opposto del la strada. Là si trova un edificio dalla forma bizzarra, il Moulin Rouge. La fama di quel locale è tale da aver raggiunto persino Londra. Spettacoli stupefacenti, ballerine di straordinaria bellezza.

— Quanto vorrei vedere un balletto di can can! Dicono che sia eccezionale — esclama Dorian.

Henry scuote la testa. — Sicuro che vorresti andarci solo per quello? Comunque, purtroppo ti devo deludere, perché stasera c’è il Chantecler.

— Chantecler?

— Sì, il nuovo spettacolo di Edmond Rostand.

Dorian sgrana gli occhi. — Edmond Rostand? Il Rostand del Cyrano de Bergerac?

Henry non gli risponde e si dirige verso l’entrata del la metro. L’altro sospira, ma non replica.

Escono dalla metropolitana una mezz’ora più tardi, alla stazione di PèreLachaise. Il cielo si è di nuovo rannuvolato, l’aria profuma di pioggia. Henry controlla l’orologio da taschino e dondola la testa sulle spalle.

— Siamo in anticipo di una ventina di minuti. Perfetto per una piccola deviazione.

— Sempre che non si metta a piovere — ribatte Dorian guardando il cielo. — Non vorrai sciupare quel capolavoro che ti è costato un occhio della testa?

Henry si dirige verso un muro decorato con clessidre e torce. Varca il cancello, mentre Dorian legge la frase in latino scolpita nel marmo: SPES ILLORVM IMMORTALI TATE PLENA EST.

— La loro speranza è piena d’immortalità — traduce a voce alta. Quando oltrepassa il cancello, rimane allibito. Raggiunge in fretta Henry.

— Abbiamo venti minuti liberi e mi porti in un cimitero? — domanda sbigottito.

— PèreLachaise è uno dei monumenti più affascinanti di Parigi, Dorian. Qui sono sepolti i personaggi più illustri del secolo scorso. Molière, Charles Hugo, Gioachino Rossini, Fryderyk Chopin, Honoré de Balzac.

Si addentrano lungo i sentieri del cimitero, e ora anche Dorian ne è affascinato.

Morire non è nulla, non vivere è spaventoso — sussurra soprappensiero.

Henry rallenta il passo, lo scruta in volto. — Una citazione di Victor Hugo. Quindi ti stai interessando di letteratura, ultimamente?

— Mi diletto, talvolta. E Hugo aveva ragione. L’immortalità è l’unica cosa che può sconfiggere la morte.

Mi chiedo allora, come si può raggiungere se non tramite l’esaltazione del presente?

— Per l’appunto, non abbiamo concluso il nostro discorso. Più che il presente, Dorian, quale futuro ti immagini? — gli domanda Henry, dopo una pausa.

— Un futuro dove posso fare ciò che più mi piace — risponde l’altro, caustico.

— Continuando a sperperare i soldi dei tuoi genitori e a far bivaccare quell’attricetta... come si chiama?

Dorian stringe i pugni. Si morde la lingua e ignora la provocazione.

— Mi diletterò nella pittura, nella musica e nella poesia.

— Sarai mai veramente sazio di pittura, musica e poesia? L’arte sarà capace di indicarti la strada? O tutti ti dimenticheranno presto, come accadrà a quel pittore sconosciuto di place du Tertre?

— Per me sarà diverso. Ti prometto che sarò famoso.

Oppure famigerato.

L’altro scoppia a ridere. — Cioè dedicherai la vita all’ozio e al piacere?

— So gestire i miei soldi e troverò un modo per farli fruttare, non ti angustiare.

— Bada bene, l’arte non è sinonimo di denaro. L’arte dona colore a una vita grigia.

Henry porge il quadro a Dorian. Lui dispiega il panno che lo ricopre e ammira la bellezza dell’opera. La perfezione del ritratto. Sorride, gira la testa di profilo come se si stesse specchiando.

— Platone diceva che il risultato più alto cui può aspirare un uomo è starsene seduto e contemplare gli dei.

Forse sono destinato proprio a questo. O lo sono le persone che mi incontreranno.

— È vero, sei un bellissimo ragazzo. E lo sai bene. Ma cosa vuoi davvero, Dorian? Cosa desideri più di tutto?

— Devo proprio scegliere?

— La vita è una scelta. È il libero arbitrio.

— Il libero arbitrio è una delle più grandi menzogne della storia e della fede. Noi non siamo liberi di scegliere un bel niente, ogni giorno veniamo costretti a scegliere qualcosa.

— E cosa sei costretto a scegliere, oggi?

— Sono costretto a vivere i miei vent’anni. Voglio divertirmi, conoscere il mondo. Assaporare ogni sfumatura del piacere. Voglio godere della mia giovinezza senza perderne neppure un secondo.

— Io ti invidio, perché possiedi le uniche due cose perle quali abbia senso vivere...

— Bellezza e giovinezza — conclude Dorian.

— Eppure, come la rosa più profumata, anche la bellezza è destinata a sfiorire. Compariranno le prime rughe, i capelli bianchi. Morirà questa belle époque, tornerà il decadentismo. I muscoli che sfoggi sotto la camicia pian piano cederanno, il candore della pelle si sporcherà di macchie. Questo quadro che adesso è motivo di orgoglio un giorno diventerà una condanna, perché ti ricorderà quel passato che non potrai più avere.

Dorian si ferma, incupito. Non lo ascolta più. D’improvviso i colori del ritratto hanno perso brillantezza. — E i sacerdoti ti maledissero con striduli salmi quando fra gli artigli afferrasti il loro serpente. Com’è sottile il segreto deltuo sorriso! Non amasti nessuno, dunque. — Dorian con

templa il quadro con il cuore stretto in un pugno. — Se solo potessi rimanere così in eterno — sussurra poi. La tristezza di un futuro incerto gli dà un senso di vertigine.

Henry alza lo sguardo al cielo. — I tuoi occhi sono come fantastiche lune che brillano in un lago stagnante, la tua lingua è come un serpente scarlatto che danza su musiche fantastiche, il tuo polso scandisce melodie velenose, e la tua gola nera è come il foro lasciato da una torcia di carbone ardente su tappezzerie saracene.

— Cosa significa?