— Ce l’hai con me per le api in camera tua? — stava chiedendo Mark camminando a grandi passi verso Tiberius.

— Lo sai anche tu perché abbiamo dovuto sbarazzarcene!

— Presumo che tu l’abbia fatto per contrariarmi — rispose Ty. Era piccolo per avere dieci anni, ma aveva il vocabolario e la dialettica di un ottantenne. Di solito non diceva bugie, soprattutto perché non ne vedeva la necessità. Non riusciva a spiegarsi come mai alcune sue azioni irritassero o turbassero gli altri, e trovava la loro collera sconcertante o spaventosa, a seconda dell’umore.

— Non è questione di volerti contrariare, Ty, ma non puoi tenere uno sciame di api in camera e...

— Le stavo studiando! — ribatté l’altro, diventando paonazzo. — Era una cosa importante, loro erano mie amiche, e sapevo che cosa stavo facendo.

— Lo sapevi anche la volta del serpente a sonagli, vero? — fece Mark. — A volte ti portiamo via una cosa perché non vogliamo che tu ti faccia male. So che è difficile da capire, Ty, ma noi ti vogliamo bene.

Il ragazzino lo squadrò con aria impassibile. Conosceva il significato di una frase come “ti voglio bene” e sapeva che era positiva, ma non capiva perché dovesse essere anche la spiegazione per tutto.

Mark si chinò, mani sulle ginocchia, e portò lo sguardo al livello di quello grigio di Ty. — Okay, ecco cosa faremo...

— Ha! — Emma era riuscita a ribaltare Julian sulla schiena e a sottrargli lo stilo con un’abile mossa. Lui rise, contorcendosi sotto di lei, finché non si sentì bloccare il braccio contro il pavimento.

— Mi arrendo — disse. — Mi arr...

Jules le stava ridendo in faccia, e all’improvviso Emma si rese conto che quella posizione, con il proprio corposopra quello di lui, le stava dando una sensazione un po’strana. Si accorse inoltre che, come Mark, anche Julian aveva un bel viso. Rotondo, da ragazzino, molto familiare, ma lei ne poteva indovinare l’aspetto che avrebbe avuto in futuro, da grande.

Il suono del campanello d’ingresso riecheggiò nella palestra. Era un tintinnio profondo, dolce e squillante come quello delle campane di una chiesa. Da fuori, agli occhi dei mondani, l’Istituto appariva come il rudere di un’antica missione spagnola. Sebbene ci fossero cartelli quali PROPRIETÀ PRIVATA e VIETATO L’INGRESSO disseminati un po’ ovunque, a volte qualcuno — di solito mondani con una leggera Vista — riusciva comunque a trovare l’entrata.

Emma rotolò via da Julian e si aggiustò i vestiti. Non rideva più. Lui si rialzò in piedi facendo leva sulle mani, lo sguardo incuriosito. — Ehi, tutto bene?

— Ho sbattuto un gomito — mentì lei, guardando verso gli altri.

Livvy si stava facendo spiegare da Katerina come impugnare un coltello, mentre Ty scuoteva la testa in direzione di Mark. Ty. Quando era nato, era stata lei ad assegnargli quel soprannome: a diciotto mesi non era capace di dire “Tiberius”, ma soltanto “Ty-Ty”. A volte si domandava se lui se ne ricordasse. Aveva un senso delle priorità tutto suo, davvero imprevedibile.

— Emma? — Julian si chinò in avanti, e fu come se attorno a loro tutto esplodesse all’improvviso. Ci fu un’enorme ondata di luce, e il mondo fuori dalle vetrate divenne d’oro, bianco e rosso, quasi che l’Istituto stesso avesse preso fuoco. In quel preciso istante, il pavimento sotto di loro ondeggiò come il ponte di una nave. Emma scivolò in avanti proprio mentre dal piano inferiore saliva un urlo — un urlo tremendo, irriconoscibile.

Livvy trasalì e corse da Ty, prendendolo fra le braccia come se potesse circondarlo completamente e fargli scudo con il proprio corpo. Livvy era una delle pochissime persone a cui Ty permettesse di toccarlo; in quel momento era in piedi con gli occhi spalancati, una mano che strizzava una manica di sua sorella. Anche Mark era già balzato in piedi; sotto le spire dei capelli scuri, Katerina aveva il volto esangue.

— Voi restate qui — disse a Emma e Julian, sguainando la spada dal fodero che teneva allacciato in vita. — Controllate i gemelli. Mark, tu vieni con me.

— No! — protestò Julian, cercando di rimettersi in piedi. — Mark...

— Andrà tutto bene, Jules — gli disse lui con un sorriso rassicurante. Aveva già un pugnale in ogni mano. Era abile e veloce con i coltelli, non sbagliava un colpo.

— Rimani con Emma — disse facendo un cenno a entrambi, poi svanì dietro Katerina, e la porta della palestra si richiuse sbattendo alle loro spalle.