Ora si trovava nella parte dell’edificio che conosceva meglio: quella riservata alla famiglia Blackthorn. Sgattaiolò accanto alla camera vuota di Helen, montagne di vestiti e copriletto polveroso. Accanto a quella di Julian, una seconda casa dopo un milione di notti passate a dormirci dentro da ospite. Accanto a quella di Mark, con la porta ben chiusa. La stanza successiva era quella matrimoniale, e subito accanto c’era la nursery. Emma inspirò a fondo e aprì la porta con una spallata.
Lo spettacolo che l’aspettava in quella stanzetta dipinta di azzurro le fece strabuzzare gli occhi. Tavvy era nel suo lettino, con le mani strette alle sbarre e le guance paonazze dal tanto piangere. In piedi davanti a lui c’era Drusil la, con una spada in mano (solo l’Angelo sapeva dove se la fosse procurata). La stava puntando contro Emma, e la mano le tremava così tanto che l’arma oscillava a destra e a sinistra; ai lati del viso paffuto pendevano due trecce da bambina, ma lo sguardo nei suoi occhi da Blackthorn rivelava una determinazione d’acciaio: “Non ti azzardare a toccare mio fratello”.
— Dru — pronunciò Emma con tutta la calma di cui era capace. — Dru, sono io. Jules mi ha mandato qui a prenderti.
La bambina lasciò andare la spada − che cadde fragorosamente sul pavimento − e scoppiò in lacrime. Emma le passò subito accanto per prelevare con il braccio libero il piccolo dal suo lettino, sollevandolo e mettendoselo su un fianco. Tavvy era piccolo per la sua età, però pesava comunque più di dieci chili. Fece una smorfia quando lui le agguantò una ciocca di capelli.
— Memma — disse.
— Sssh! — Gli diede un bacio sulla testa. Sapeva di borotalco e di lacrime. — Dru, aggrappati alla mia cintura, okay? Adesso andiamo nell’ufficio. Lì saremo al sicuro.
Dru strinse le piccole mani alla cintura delle armi di Emma; aveva già smesso di piangere. Gli Shadowhunters non lo facevano mai a lungo, nemmeno a otto anni.
Emma si fece strada fuori dalla stanza, in corridoio. I suoni provenienti da sotto si erano fatti ancora più paurosi: grida interminabili, ululati gutturali, rumori di vetri infranti e legno sfasciato. Avanzò poco alla volta, stringendo forte a sé Tavvy e sussurrandogli che andava tutto bene, che non gli sarebbe successo niente di male. Passò accanto alle altre finestre, e il sole molesto che faceva irruzione attraverso i vetri quasi la accecò.
Anzi, la accecò veramente, con il contributo del panico. Era l’unica ragione per giustificare la direzione sba- gliata che imboccò subito dopo: un corridoio che anziché portarla dove si sarebbe aspettata, la fece finire in cima all’ampia scalinata che scendeva fino all’atrio e all’imponente portone d’ingresso.
Shadowhunters ovunque. Alcuni, che riconosceva come i Nephilim del Conclave di Los Angeles, in tenuta da combattimento nera, altri in rosso. C’erano file di statue, ormai ribaltate a terra e ridotte a cumuli di cocci e polvere.
La finestra panoramica che si affacciava sull’oceano era andata in frantumi, schegge di vetro e sangue ovunque.
Emma fu assalita da un conato di vomito. Al centro dell’atrio c’era una figura alta, vestita di rosso scarlatto. Aveva i capelli biondo chiarissimo, quasi bianchi, e il viso simile a quello scolpito nel marmo di Raziel, ma senza alcuna traccia di misericordia. I suoi occhi erano
neri come il carbone; in una mano teneva una spada incisa con un motivo di stelle e nell’altra un calice fatto di adamas scintillante.
La vista di quella coppa fece scattare qualcosa in testa a Emma. Agli adulti non piaceva parlare di politica in presenza degli Shadowhunters più giovani, ma lei sapeva che il figlio di Valentine Morgenstern si faceva chiamare con un nuovo nome e aveva giurato vendetta al Conclave. Sapeva anche che aveva creato una coppa opposta a quela dell’Angelo, capace di trasformare gli Shadowhunters in creature spietate, demoniache. Aveva sentito il signor Blackthorn definirli “Shadowhunters oscuri” oppure “Ottenebrati”, e dire che avrebbe preferito morire piuttosto che diventare uno di loro.
Allora quello era lui. Jonathan Morgenstern, chiamato da tutti Sebastian. Un personaggio uscito da una fiaba, una storia raccontata per spaventare i bambini che si faceva realtà. Il figlio di Valentine.
Emma posò una mano sulla testa di Tavvy, premendosiil suo visino contro la spalla. Non era in grado di muoversi. Si sentiva come se avesse il piombo ai piedi. Tutto attorno a Sebastian c’erano degli Shadowhunters vestiti di nero e di rosso, oltre a misteriosi personaggi con dei mantelli scuri — anche loro Shadowhunters? Impossibile dirlo, avevano il viso coperto. E poi c’era Mark, le mani costrette dietro la schiena da uno Shadowhunter in rosso. I suoi pugnali giacevano a terra, e la tenuta da allenamento era macchiata di sangue.
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