Sebastian alzò una mano e inarcò una delle sue lunghe dita bianche. — Portatela qui — disse. Nella folla si diffuse un brusio, e il signor Blackthorn si fece avanti trascinando con sé Katerina. Lei tentava di ribellarsi, lo colpiva a mani nude, ma lui era troppo forte. Emma guardò, in preda a un terrore incredulo, la donna che veniva spinta sulle ginocchia.
— Adesso — le intimò Sebastian con voce di seta —
bevi dalla Coppa Infernale. — Con quelle parole, le spinse il bordo del calice contro la bocca.
In quell’istante Emma si rese conto di cosa fosse l’ululato sentito poco prima. Katerina cercava di liberarsi, ma Sebastian era implacabile: le forzò con violenza le labbra,
finché Emma la vide sussultare e deglutire. A quel punto si contorse, ma il signor Blackthorn non si scompose:
rideva, anzi, così come rideva Sebastian. Katerina crollò a terra, il corpo vittima degli spasmi, e dalla gola le salì un unico grido. N—o, peggio di un grido, un lamento di dolore come se le stessero strappando l’anima dal corpo.
Una risata si propagò per la stanza; Sebastian sorrise, e in lui c’era qualcosa di tremendo e di bellissimo, proprio come ce n’è nei serpenti velenosi e negli squali bianchi.
Emma si accorse che lui era affiancato da due compagni:
una donna con i capelli castani striati di grigio, armata di ascia, e una figura alta interamente coperta da un man- tello nero. Di quest’ultima non si vedeva niente tranne gli stivali scuri che spuntavano da sotto l’orlo della tunica. Soltanto dall’altezza e dalla stazza si poteva intuire
che fosse un uomo.
— Era l’ultimo degli Shadowhunters, qui dentro? —
domandò Sebastian.
— C’è il ragazzo, Mark Blackthorn — rispose la donna in piedi accanto a lui puntando un dito contro Mark. —
Dovrebbe essere grande abbastanza.
Sebastian abbassò lo sguardo su Katerina, che nel frattempo aveva smesso di contrarsi e giaceva immobile, i capelli scuri sul viso. — Alzati, sorella Katerina. — Portami Mark Blackthorn.
Emma, paralizzata sul posto, rimase a guardare Katerina che lentamente si rialzava in piedi. Da che ricordasse, aveva sempre fatto la tutor all’Istituto; era stata la loro insegnante quando era nato Tavvy, quando era morta la madre di Jules, quando lei stessa aveva iniziato l’addestramento fisico. Da lei avevano imparato le lingue, si erano fatti medicare tagli e graffi e avevano ricevuto le loro prime armi. Per loro era stata come una di famiglia, e ora avanzava sulle macerie disseminate a terra, con lo sguardo vuoto, per catturare Mark.
Quando Emma sentì Dru che tratteneva il respiro, tornò in sé. Si girò di scatto e mise Tavvy in braccio alla bambina, che sulle prime barcollò, ma poi riuscì a tenere ben saldo il fratellino. — Corri. — Corri nell’ufficio. Di’ a Julian che arrivo subito.
La voce di Emma le aveva trasmesso un chiaro segnale d’emergenza: Drusilla non ribatté, si limitò a stringere Tavvy ancora più forte e a scappare via, con i piedi nudi che calpestavano silenziosi il pavimento del corridoio. Emma tornò a voltarsi per guardare l’orrore ancora in corso nell’atrio. Katerina era dietro Mark e lo spingeva in avanti puntandogli un pugnale fra le scapole; lui inciampò e per poco non cadde davanti a Sebastian. Ora il ragazzo era più vicino alla scala, ed Emma riusciva a vedere su di lui i segni della lotta: ferite da difesa su mani e
polsi, tagli sul viso − sicuramente per delle rune di Guarigione non c’era stato tempo. Tutta la guancia destra era imbrattata di sangue. Sebastian lo guardava arricciando
un labbro per il disappunto.
— Questo non è affatto un Nephilim — dichiarò. —
Ha metà sangue di fata, sbaglio? Perché non ne sono stato informato?
Ci fu un mormorio. — Significa che con lui la Coppa non funzionerà, mio signore? — chiese la donna al suo fianco.
— Significa che non lo voglio — rispose.
— Potremmo portarlo nella valle del sale — suggerì lei.
— Oppure negli alti luoghi di Edom, sacrificandolo per il piacere di Asmodeo e di Lilith.
— No — rispose lentamente Sebastian. — No. Non sarebbe saggio, credo, fare una cosa del genere a chi possiede il sangue del Popolo Fatato.
Mark gli sputò addosso.
Sebastian parve turbato. Si girò verso il padre di Julian:
— Vieni a legarlo. — Feriscilo, se vuoi. Non avrò altra pazienza con il tuo figlio mezzosangue.
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