Durante il trasferimento verso la nuova casa, il papà della piccola Chihiro decide di percorrere una strana galleria, quando inspiegabilmente la famiglia Ogino si ritrova in quello che sembrerebbe l'allestimento di un vecchio parco divertimenti. La cosa strana, che aumenta la paura della piccola Chihiro, è che nonostante le locande trabocchino di ogni bontà culinaria i vicoli hanno un che di tetro, di sospetto. Allontanatasi dai genitori, incrocia un ragazzino con occhi di vetro che le intima di andarsene al più presto, perché potrebbe succedere qualcosa di irreparabile, ma quando la bambina torna dai genitori è troppo tardi: si sono ingozzati fino a trasformarsi in maiali. Ormai è buio e mentre la piccola è in preda alla disperazione, convinta al tempo stesso che sia solo un brutto sogno, dalle locande emergono strane creature, facendo prendere vita alla città incantata.
Chihiro viene salvata da Haku, il ragazzo di poco prima, che le dà informazioni importanti per potersi trattenere nella Città e salvare i suoi genitori. Conditio sine qua non sarà ritenuta credibile e potrà rimanere è non lamentarsi mai, ma soprattutto lavorare, dopo aver convinto la terribile Yubaba che un'umana possa rimanere (viva) in quel luogo. Come firma del contratto, la terribile donna le ruberà il nome: finché lavorerà per lei, Chihiro sarà solo Sen, ovvero userà solo il primo ideogramma del suo nome. Quindi da 千尋 a solo千.
Hayao Miyazaki propone una storia semplice ma al tempo stesso ricca di una quantità sorprendente di dettagli e spunti, attraverso un percorso straordinario di una bambina ordinaria che raccoglie tutte le forze e riesce a compiere un passo comune quanto a suo modo molto complesso e insidioso: crescere.
Ognuno di noi a modo suo, in fondo, può essere straordinario se si mette in gioco. Ciò avviene se il cuore si muove, se spinge a fare le cose, a preoccuparsi per gli altri, se si vincono le proprie paure, si cerca di fare del proprio meglio. Chihiro, da paurosa, svogliata e lamentosa, muove i primi passi verso la crescita, contando sulle proprie forze, ponendosi degli obiettivi, preoccupandosi per gli altri e prendendo esempio da loro, mostrando affetto e riconoscenza a chi l'ha aiutata, anche senza aspettarsi nulla in cambio.
E al tempo stesso La città incantata, liberamente ispirato a Il meraviglioso paese oltre la nebbia di Kashiwaba Sachiko, è una storia di crescita corale, perché insieme a Chihiro altri personaggi compiono un percorso, non necessariamente di crescita ma di cambiamento, di messa in discussione: Haku, che prende a cuore la situazione di Chihiro e arriva a contraddire Yubaba di cui è considerato il braccio armato, Bō, il bambino di Yubaba, e forse la stessa direttrice delle magiche terme degli spiriti, nello scontrarsi con la sorella Zeniba, risoluta come lei ma più buona e in qualche modo umana, meno egoista, più accogliente e comprensiva.
Le terme, tra l'altro, che rappresentano uno dei simboli della cultura giapponese, diventano scenario di una storia fantastica dalla grande ricchezza creativa, il crogiuolo di raccolta dei simboli e del mondo nipponico e dell'immaginario Miyazakiano fatto di storie di vita vissuta, di temi che stanno molto a cuore al regista giapponese e che riesce a riproporre in modo diverso e innovativo in ogni storia, attraverso strategie narrative e personaggi, una fotografia sempre all'altezza della storia che rappresenta in cui alle cui scene-racconto si inframezzano paesaggi di una bellezza mozzafiato, che ricordano dei dipinti ad acquerello.
Straordinario e sempre in continuo dialogo con le scene, ad accompagnare i vari personaggi, c'è la musica del grande Joe Hisaishi, che compone una colonna sonora solenne, empatica, che non è solo una musica di sottofondo ma si rende personaggio onnipresente sulla scena.
Per quanto riguarda la traduzione italiana stavolta c'è stato un lavoro che potremmo definire “di maggior cura sulla resa finale”.
Nonostante si percepisca che Giorgio Nardoni e Gualtiero Cannarsi, di nuovo in coppia per la traduzione e l'adattamento dei dialoghi italiani nonché alla direzione del doppiaggio (l'irriducibile Shito Cannarsi, of course), abbiano puntato a mantenere quanta più attinenza possibile con i costrutti e certe espressioni tipiche giapponesi che in italiano suonano troppo letterali per non dire, a volte, desuete, stavolta rispetto alle precedenti (leggi: Kiki consegne a domicilio, Principessa Mononoke) è andata decisamente meglio.
Sul gruppo dei doppiatori, completamente nuovo rispetto all'edizione del 2003, una nota positiva: riescono a rendere il carattere dei vari personaggi senza scimmiottare troppo quelli più particolari, ma anzi, rendendoli per ciò che sono.
Tuttavia vi ritroverete a storcere un po' il naso sentendo frasi “pesanti” come “Del tuo nome abbine cura” oppure “Non va mica bene che scompari all'improvviso”, “Un dispetto per l'appunto”, “Solo perché una cosa l'abbiamo dimenticata non possiamo ricordarcene”, “Che mischiato nella pioggia si stia infiltrando un buono a nulla?” oppure “Il contratto è stato già stretto”, “Che ragazza indecente che arriva”. Salvati in corner, però, dalla traduzione della sigla finale, che riesce a mantenere un registro così poetico e soave che sarà meglio avere un fazzolettino a portata di mano, a meno che non confidiate nella penombra della sala.
Un consiglio. Non alzatevi prima che sia finita la sigla: questa bellissima abitudine dei cartoni nipponici sta tornando molto in voga anche nelle produzioni occidentali e forse è uno dei momenti più emozionanti di tutto il film, con delle bellissime immagini di che scorrono sotto Itsumo Nando Demo (Sempre con me), cantata da Yumi Kimura, che innalza, esalta e conclude magistralmente un film indimenticabile e irrinunciabile per un cinefilo o aspirante tale.
Insomma, siete sicuri che non sia il caso di aggiungere La città incantata tra i vostri film preferiti?
5 commenti
Aggiungi un commentoUn’altra bella recensione Cri.
La città incantata è il film che preferisco di Miyazaki, proprio per gli aspetti simbolici legati all’animismo giapponese e la meravigliosa resa visiva. L’arrivo del traghetto illuminato di notte, la fuga tra le piante di fiori e il treno che scorre sul mare sono delle scene splendide e si riescono quasi a intravvedere i tocchi di pennello (altro che “i giapponesi fanno i cartoni col computer” come qualcuno diceva anni fa prima che Miyazaki venise “sdoganato” grazie a Mononoke Hime).
Non ho visto il film con la nuova traduzione ma dagli esempi che porti mi sembra che talvolta il problema sia nell’uso dell’Italiano.
Come ti ho già scritto 5 stelline sono troppo poche per questo film
Grazie, è la prima recensione a un film di Miyazaki in cui leggo finalmente qualcuno con un atteggiamento sanamente critico sul linguaggio di queste "nuove traduzioni". Non importa quanto sia più aderente al significato dell'originale: il risultato deve essere in buon italiano, altrimenti non è una buona traduzione.
Grazie Slurpolo. Devo dire che stavolta è stato meno drammatico delle altre.
Mi viene il dubbio che la Universal avesse lavorato meglio della Buena Vista, ma come dici tu "a orecchio" uno sente qualcosa che "Non va", e in fondo lavorare a una resa migliore per chi fa questo lavoro non dovrebbe essere così difficile, anche qando c'è bisogno di una certa aulicità.
secondo me non sono le frasi costruite come le scriveva il Pindemonte che rendono i dialoghi "aulici", basta usare un buon italiano appunto.
Vale tanto per i dialoghi cinematografici quanto per una certa narrativa che cerca di scimmiottare (spesso fallendo) un tipo di prosa epica.
Mi riferivo a Princess Mononoke, dove a quanto pare Miyazaki aveva pensato proprio a monte a un registro "altro", e quindi Cannarsi ha provato a far percepire la stessa cosa anche nell'edizione italiana. Il problema come ho spiegato a suo tempo nella recensione è che ha ottenuto un effetto inascoltabile. E purtroppo la tendenza c'è anche negli altri film, l'unico che al momento si sta "salvando" è La Città Incantata.
Chissà se rimetterà mano anche a Howl che pure è contorto assai.
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