Sarah.

La trovò distesa sul fondo della caverna, contro una nebulosa parete di ghiaccio. Aveva gli occhi aperti, fissi sul nulla. Le iridi erano torbide e le ciglia incrostate di ghiaccio. Si chinò e le passò le dita sulla guancia fredda. Inspirò bruscamente, e il suo singhiozzo bucò l’aria.

Ma dov’era il loro figlio? Dov’era Callum?

Sarah stringeva nella destra un pugnale. Era abilissima nel plasmare i metalli recuperati dal profondo del suolo. Aveva forgiato lei quell’arma durante l’ultimo anno di Magisterium. Aveva un nome: Semiramis. Alastair sapeva che Sarah aveva molto cara quell’arma. Se devo morire, voglio morire stringendo il mio pugnale, gli diceva sempre.Ma lui non aveva voluto che morisse.

Sfiorò di nuovo con le dita la guancia gelida.

Un pianto lo fece voltare di scatto. In quella caverna traboccante di morte e silenzio, un pianto.

Un bambino.

Cercò affannosamente la fonte di quel flebile gemito. Sembrava arrivare da un punto più vicino all’ingresso. Tornò indietro di corsa, inciampando sui cadaveri, alcuni rigidicome statue, finché all’improvviso un altro volto familiare non lo fissò dalla carneficina.

Declan. Il fratello di Sarah, ferito nell’ultima battaglia. Sembrava essere stato soffocato a morte da una forma particolarmente feroce di magia d’aria; aveva il volto blu, gliocchi iniettati di sangue. Aveva un braccio teso, e sotto, protetto dal gelo del suolo da una coperta, c’era il figlio neonato di Alastair. Mentre lui lo fissava sbigottito, il bimboaprì la bocca ed emise un altro debole gemito, quasi un miagolio.

Come in trance, tremante di sollievo, Alastair si chinò a raccogliere suo figlio. Il bambino lo guardò coi grandi occhi grigi e aprì la bocca per gridare di nuovo. La coperta cadde, e Alastair capì la ragione del pianto. La gamba sinistra del bambino penzolava in modo innaturale, come un ramo spezzato.

Alastair cercò di evocare una magia di terra per curare il bambino, ma aveva energia appena sufficiente per alleviargli un po’ il dolore. Col cuore in tumulto (cambiato per questione di registro),

riavvolse stretto il bimbo nella coperta e tornò nel punto della caverna dove giaceva Sarah. Tenne il bimbo come se lei potesse vederlo e s’inginocchiò accanto al corpo di lei.

«Sarah» sussurrò, un nodo di lacrime in gola. «Gli dirò che sei morta per proteggerlo. Lo crescerò ricordando quanto sei stata coraggiosa.»

Gli occhi di lei lo fissarono, vuoti e pallidi. Strinse il bimbo più forte e si protese per sfilarle Semiramis dalla mano. Nel farlo notò che il ghiaccio accanto alla lama recava strani segni, come se l’avesse graffiato mentre moriva. Ma i segni erano troppo precisi. Si avvicinò e vide che erano parole – parole che sua moglie aveva inciso nel ghiaccio della caverna con le sue ultime forze, morendo.

Le lesse, e fu come ricevere tre colpi secchi nello stomaco.

UCCIDI IL BAMBINO

CAPITOLO UNO

Callum Hunt era una leggenda nella sua piccola città del North Carolina, ma non in senso buono. Celebre per la sua abilità nello smontare i supplenti con battute sarcastiche, era specializzato nell’irritare i direttori, i bidelli e gli inservienti della mensa. Gli psicologi scolastici, che partivano sempre animati dal desiderio di aiutarlo (la madre del povero ragazzo era morta, dopotutto), finivano per sperare che non si presentasse più davanti a loro. Era piuttosto imbarazzante non riuscire ad avere la risposta pronta per mettere alsuo posto un dodicenne arrabbiato.

Il perenne cipiglio di Call, la chioma nera arruffata e i sospettosi occhi grigi erano ben noti ai suoi vicini. Amava andare sullo skateboard, anche se gli ci era voluto un po’per impadronirsi della tecnica; diverse auto recavano ancora i segni dei suoi primi tentativi. Spesso lo si vedeva appostato fuori dalle vetrine del negozio di fumetti, della sala giochi e del negozio di videogame. Perfino il sindaco lo conosceva. Difficile dimenticarsi di lui, dopo che il giorno della Parata del Primo Maggio aveva eluso la sorveglianza del commesso del locale negozio di animali e rapito una talpa senza pelo

destinata a finire nella pancia di un boa constrictor. Aveva provato pena per quella creatura cieca e rugosa dall’aria indifesa, e per amor di giustizia aveva liberato anche tutti i topi bianchi destinati a seguirla nel menu serale del serpente.

Non si era aspettato che i topi si precipitassero sotto i piedi della gente che sfilava, ma i topi non sono molto svegli. Non si era aspettato nemmeno che gli spettatori sidessero alla fuga davanti ai topi, ma nemmeno la gente è troppo sveglia, come aveva commentato più tardiil padre di Call. Non era colpa di Call se la parata era stata un disastro,ma tutti – sindaco in testa – si comportavano come se. In più, suo padre l’aveva costretto a restituire la talpa senza pelo.