Jonathan Steele ha avuto ben tre editori, quali sono le differenze di queste tre fasi della sua vita?
Io associo le tre edizioni a tre fasi della vita reale. L'edizione Bonelli rappresentava l'infanzia: la serie conteneva delle ingenuità e io stesso ero ancora all'inizio della mia carriera. L'edizione Star Comics rappresenta la giovinezza: decisamente scavezzacollo e incosciente, ma anche più consapevole di se stessa. Questa edizione Kappalab, infine, rappresenta la maturità: sono più maturi i personaggi e le storie così come sono più maturo io come autore. Non a caso siamo passati da un mercato più "generalista", come quello delle edicole, a uno più mirato, in libreria. Possiamo dire che Jonathan Steele è cresciuto insieme a me.
Le differenze di queste tre fasi si basano di più sul fatto che ci siano diversi progetti editoriali, sull’età anagrafica dell’autore, o del periodo storico che stiamo vivendo?
Sicuramente sono legate alla mia età e alla mia maturazione professionale. Ma anche, molto, alla casa editrice che le ha pubblicate. In Bonelli esistevano paletti ben precisi che non potevano essere superati (magari si poteva cercare di aggirarli con molta cautela e astuzia!). In Star Comics c'era una totale libertà di espressione, ma avevo comunque la consapevolezza che mi stavo rivolgendo a un mercato molto vasto, quindi più generalista. Non potevo dimenticare che chiunque, anche un ragazzino di dieci o dodici anni, avrebbe potuto prendere in mano e sfogliare un albo. Questa terza edizione si rivolge a un pubblico mirato e maturo, quindi cade ogni vincolo che non sia legato alla mia sensibilità e alla mia coscienza.
Com’è nata la collaborazione con Kappalab e con il disegnatore Joachim Tilloca?
Kappalab è una casa editrice che fa capo a quattro soci che conosco da venticinque anni! Quando hanno deciso di espandere la loro produzione anche al fumetto avventuroso italiano, penso che sia venuto loro naturale pensare a me, dato che in quel periodo (stiamo parlando del 2012) ero svincolato da altre case editrici. Quanto a Joachim, è il solo disegnatore con cui abbia lavorato che non sono mai (ancora, spero!) riuscito a incontrare di persona! Ma la sintonia con lui è molto forte. Ho trovato per caso, anni fa, il sito su cui pubblicava le sue opere e sono rimasto molto colpito dal suo segno tanto potente ed efficace, così gli ho scritto per fargli i miei complimenti. Lui mi ha risposto, abbiamo cominciato a "chiacchierare" via mail e di lì a breve mi ha proposto di scrivergli una storia con protagonista Jonathan, giusto per divertimento. Ci siamo divertiti così tanto che non abbiamo più smesso. E quando Kappalab mi ha contattato esprimendo proprio la richiesta di una versione più "autoriale" di Jonathan Steele, Joachim mi è sembrata la scelta più indicata.
Il disegno di Tilloca è davvero particolare e molto diverso da quello che attualmente si può vedere nelle produzioni fumettistiche italiane. Quanto ha contribuito nel dare una nuova pelle a Jonathan Steele?
Molto, sicuramente. Il fumetto racconta una storia non solo attraverso i testi ma anche le immagini. La stessa storia disegnata da due diversi artisti risulterebbe differente, anche come racconto. Possiamo perciò dire che Joachim contribuisce alla narrazione quanto me.
Quando scrivi tieni presente il tratto dell’autore che disegnerà la storia? Fai delle scelte narrative anche in base alle sue caratteristiche specifiche?
Assolutamente. Avendo lavorato per tanti anni in un sistema produttivo dove scrivevo per molte persone, ho imparato ad adattarmi ai singoli disegnatori, a scrivere storie cucite su misura per loro. Perché è vero che un bravo disegnatore deve saper disegnare tutto, ma certamente disegnerà meglio (molto meglio!) quel che gli piace. E in alcuni casi, quando sono in particolare sintonia con uno di loro, come accade con Joachim, tiro fuori storie decisamente migliori.
C’è un filo conduttore che unisce i tre volumi di Kappalab e da dove nasce la scelta di usare tre colori come titolo?
Sì, c'è un filo conduttore, anche se il legame sarà più evidente fra il secondo e il terzo volume. I colori sono legati alle storie: il primo volume, "Noir", presentava infatti vicende cupe, anche ascrivibili al classico genere noir, appunto. Il secondo volume s’intitola "Rouge" perché il rosso è il colore della passione, che è un tratto caratteriale predominante della vera protagonista del volume, Myriam (che ha i capelli rossi), e perché nelle due storie che lo compongono scorre molto sangue. Il terzo volume sarà "Blanc", che in alcune culture è il colore del lutto. Ma il bianco è anche il colore che racchiude l'intero spettro di colori, quindi, in un certo senso, racchiude l'universo… O tutti gli universi, trattandosi di Jonathan Steele!
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