1. Fretta
– Guido, tra quanto sarà pronto?
– Mancano 3 minuti e 24 secondi.
– Dai che è tardi! Guarda che quelli mica ci aspettano, iniziano la riunione e tanti saluti.
– Cosa ci devono fare con tutta la contabilità dell'anno?
– Ma che te ne frega? Ci hanno chiesto di portare tutto e pure il bilancio provvisorio, avranno i loro buoni motivi. Sbrigati!
– Ah be', mica lo comando io il masterizzatore...
Fisso lo schermo e la barra di avanzamento che va lentissima: quanto la odio.
– Guido! E dai...
– 30 secondi, 25 secondi, ci siamo quasi.
Dai coso masterizza 'sto cd, cacchio! Oggi Bruno rompe di brutto però mica lo compra un pc nuovo.
Mi inchino con ossequio e aspetto l'apertura del lettore, ha finito ma non si apre. Ecco, adesso ci prova... no! si è bloccato a metà questo cesso. Provo con il dito. Oh no, si richiude: – Ahi!
– Che è successo, Guido? Ha finito?
– Sì, però mi sono fatto male a un dito, il bastardo me lo ha tirato dentro. Non sanguina per fortuna. Infilo il maledetto cd nella custodia, lo butto nella borsa e sono pronto. Bruno è già fuori dell'ufficio: quando si tratta di prendere i soldi ha il pepe al sedere, ma quando è ora di pagare lo stipendio...
2. Riunione
– Guido, mi senti? mi senti?
Che scocciatura questo smartphone del cavolo: – Chi parla? Ele, sei tu?
– Spostati, non capisco niente...
– Ele, aspetta che mi muovo. Ecco, qui ho tre tacche. Mi senti?
– Era ora, Guido. Ma dove cavolo sei?
– Amore, a Milano, lo sai. Sono in stazione ma sto uscendo – rispondo docile, meglio non farla irritare altrimenti al ritorno sai che storia.
– Bravo, amore. Fatti valere. Hai preso tutto?
– Certo, Ele. Prendo un caffè e vado all'appuntamento col notaio Magrini e, – intanto faccio cenno di no col dito al tizio che mi vuole vendere un accendino luminoso – se fila tutto liscio, forse riesco a prendere il treno delle 14,30. Ti chiamo dopo. Bacio.
Entro in un bar della galleria, per fortuna c'è poca gente, mi servono subito. Sorseggio il caffè e mangio anche il cioccolatino fondente che mi hanno offerto. Esco.
Sbuco sulla piazza, e dopo qualche zig e zag tra la folla mi porto alla stazione dei taxi. C'è la fila. L'aria è umida e promette pioggia. Se va tutto liscio dal notaio impiegherò poco tempo e potrò pranzare e fare due passi, penso. Sopra di me un paio di piccioni tubano sul cornicione; una voce graffiata alle spalle mi scuote: – Tocca lei, su.
– Sì, grazie – rispondo, mi infilo nel taxi.
– Buongiorno. Dove la porto? – chiede il tassista rigirando uno strano cappello con la visiera.
– Piazza San Marco, grazie.
– Ma sarà nemmeno a due chilometri, è sicuro che non vuole andare a piedi? – mi chiede scocciato con chiaro accento milanese.
– Ah be', pensavo fosse più lontano; comunque preferirei andare in macchina se non le dispiace – rispondo secco.
Lui mi scruta dallo specchietto, storce la bocca e parte; poi mi guarda di nuovo e fa: – Viene da Roma?
Per un attimo resto interdetto, cosa vuole dire con questo? Vengo da Roma e allora chi viene da Roma deve prendere il taxi solo per lunghi tragitti? Boh. Lascio perdere: – Sì.
Mentre sistemo la borsa sul sedile, sento un leggero dolore e mi tasto il dito indice della mano destra che da ieri è anche arrossato. Ripasso a mente la pratica che dovrò discutere con il notaio e i suoi clienti. Mi sento pronto, Bruno sarà soddisfatto, è un affare importante per lo studio, magari poi ci scappa pure un aumento. Un sobbalzo mi fa portare d'istinto la mano alla maniglia.
– Buche – brontola il tassista.
Penso alla situazione di Roma dove le buche ormai fanno parte del paesaggio urbano, e sorrido.
In cinque minuti siamo arrivati; ottimo, sono quasi le dieci, sarò puntualissimo.
Dopo avere chiesto indicazioni per lo studio del notaio in vicolo Manzoni, pago e scendo dal taxi. Nella piazza mi trovo immerso tra i banchi di un mercato pieno di fiori colorati e profumatissimi.
Arrivato al portone del palazzo, chiedo al portiere e salgo al quarto piano. Una targa lucida su una porta immensa certifica che sono arrivato a destinazione. Butto un occhio all'orologio: le dieci, perfetto. Sistemo gli occhiali e la giacca, prima di suonare.
Lo studio è immenso, le due signorine al desk paiono due modelle: però si tratta bene il Magrini, eh.
La stangona bionda si avvicina, spara un sorriso infinito e fa cenno con la mano: – Prego si accomodi – e apre la porta che dà in una sala d'aspetto che pare un mega salotto, e di lusso per giunta. – Il notaio si libera tra poco. La chiamerò io – dice sorridendo di nuovo. Un altro sorriso così e la memoria mi si azzererà e al Magrini non dirò niente, penso eccitato.
La riunione è andata bene, il notaio Magrini e i clienti sono soddisfatti, ha detto che ti chiamerà. Ci vediamo domani in ufficio. Ciao. Ecco fatto, con questo sms Bruno starà tranquillo e sereno. Adesso me ne vado a fare una passeggiata e poi mangio in qualche bel ristorantino: a spese dello studio, chiaro. E oggi è anche venerdì, sorrido.
Bella questa piazza, penso. Alla mia destra vedo il Castello Sforzesco. Forse dovrei tornare per un week end con Eleonora... poi gliene parlerò. Cammino piano e noto che la gente sulla via fila spedita.
Piove. Forse la pioggia pulirà l'aria. Anche a Roma dopo un acquazzone si respira meglio. Sfodero l'ombrello.
Lascio alle mie spalle il Foro Bonaparte e comincio a cercare un ristorante. Alcune insegne bagnate spiccano più delle altre ma nessuna mi fa scattare la voglia e tiro dritto su Corso Magenta. Supero un'osteria dove, sulla porta, c'è un cameriere alto quasi due metri che incute timore; guardo avanti e vedo poco distante una scritta che pare giapponese: ascolto il mio stomaco e decido che sarà la mia meta.
D'improvviso, un clangore di metallo e macerie mi allarma. Un urlo solitario pugnala l'aria. Tutti guardiamo esterrefatti quello che sta accadendo: la strada dietro di noi sta sprofondando! Il manto stradale viene risucchiato e i binari del tram si contorcono. Pietre e asfalto schizzano in cielo. Faccio un passo indietro per non cadere nella voragine che si sta formando, ho il cuore che va al galoppo. E adesso? Cavolo il tram viene verso di me!
Terrorizzato, alzo le mani a protezione, la valigetta nella sinistra parte in volo, con la mano destra mi copro gli occhi. Prima un botto, poi una spinta mi fa arretrare di un paio di metri. Non vedo niente. Abbasso la mano, apro gli occhi e... resto di ghiaccio! Il tram invece di cadere nella voragine si è bloccato sul ciglio. La parte anteriore è quasi intatta, il parabrezza in frantumi e il guidatore si tocca la testa. Sanguina, ma si intuisce che non è grave. Le persone vicine girano la testa come galline: guardano prima me poi il tram, il tram e poi me. Non capisco cosa è accaduto. La più temeraria, una signora anziana con un taierino grigio, si avvicina: – Si sente bene, giovanotto?
Mi rendo conto di essere quello più vicino alla canyon, ma da come mi fissa inebetito il tizio con la barba nera e la bocca spalancata capisco che c'è dell'altro. Farfuglio un: – Be... bene. Sto bene, grazie.
Un capannello di persone si sta formando, qualcuno ha già chiamato i soccorsi, vedo un ragazzo con le cuffie aiutare il guidatore che è mezzo intontito.
– La mia valigetta? – domando, mentre i battiti sono passati al trotto. Un ragazzotto che mastica un chewin gum me la porge. Ringrazio. Ma che è successo, penso, perché mi guardano tutti? l'incidente l'ha fatto il tram...
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