Jehane è un medico. La salute di coloro che incrociano il suo cammino è la sua prima preoccupazione, anche se a volte fatica a trovare il suo posto. Non perché non sia brava nella sua professione ma perché come donna ha un carattere un po’ troppo forte e perché il suo è un popolo errante, mai ben accetto ovunque si fermi. La paura di chi non si conosce, dicerie assurde come quella che la sua gente si nutra del sangue dei bambini, li costringe a vagare quasi senza sosta, a volte accolti ma mai davvero integrati in mezzo a popolazioni più forti e numerose che li vedono come offese al loro dio per il solo fatto di esistere.
Il popolo di Ammar è giunto dal sud, dal deserto, e reca ancora in sé le asprezze di quella terra spietata, anche se alcuni di loro si sono lasciati affascinare dalle bellezze della penisola che hanno invaso e secondo gli integralisti si sono rammolliti, arrivando persino ad apprezzare cose proibite come il vino. Ammar è un poeta, un diplomatico e un abilissimo guerriero, ma reca su di sé l’ombra di chi ha assassinato l’ultimo califfo.
Per tutti Rodrigo è il Capitano. Non c’è bisogno di dire altro, le sue imprese sono leggendarie ed entrare fra i suoi uomini significa il riconoscimento del proprio valore. Già esiliato dal precedente re, sempre pronto a esprimere la propria opinione e a fare ciò che ritiene giusto indipendentemente da quel che potrebbe costargli, è assolutamente fedele alla famiglia e alla parola data.
I tre, separati dalle loro fedi e dalla loro formazione, vivono in una terra divisa, lacerata da odi più grandi di una singola persona. Con la zona settentrionale della penisola spezzettata in piccoli regni a seguito della morte del precedente sovrano e i nuovi sovrani che diffidano fra loro nonostante – o forse in virtù – della loro parentela, quella meridionale dominata da persone che adorano un dio diverso portato da oltre il mare e una terza popolazione che si muove fra loro sopportando al meglio leggi ingiuste che li confinano in zone separate delle città sperando di non veder mai riaccendersi l’ardore religioso in coloro con cui sono costretti a convivere, non è difficile vedere in Al-Rassan la Spagna dell’epoca della Reconquista.
Guy Gavriel Kay però ha ambientato The Lions of Al-Rassan in una terra che non è la nostra, e ci vuole davvero poco per accorgersene. Uno sguardo alla mappa con quei nomi che non conosciamo, la presenza di due lune nel cielo o quelle tazze di cioccolata con cui i protagonisti si rifocillano dopo un momento drammatico sono solo alcuni dei tanti piccoli dettagli che ci allontanano dalla nostra storia. Eppure quelle linee costiere non sono poi tanto diverse dalle nostre, Spagna e Marocco, Italia e Siria, sono facilmente riconoscibili e, anche se Kay non si sofferma davvero sulle dottrine che contraddistinguono le varie religioni, fare l’abbinamento fra Jadditi e cristiani, Ashariti e musulmani e Kindath ed ebrei risulta abbastanza spontaneo.
Gli Ashariti vengono dal deserto, e i più puri tra loro vedono come decadenti le corti di Cartada e Ragosa, anche se sono governate da uomini appartenenti alla loro stessa fede. I Jadditi venerano come santa una regina che tre secoli prima aveva paragonato i Kindath a degli animali, affermando che andavano fatti sparire dalla faccia della terra, ma sono divisi fra di loro, con tre regni che sono sorti dove prima ce n’era uno più grande, due fratelli e uno zio che regnano su questi territori diffidando l’uno dell’altro e l’ombra di un terzo fratello, già sovrano del regno più grande, forse morto per mano di un assassino. Anche i nomi si richiamano fra loro rafforzando il legame fra fantasia e realtà, con uno dei protagonisti di Kay che si chiama Rodrigo Belmonte e deliberatamente si rifà a quel Rodrigo Diaz meglio noto come El Cid Campeador. Entrambi hanno avuto un figlio di nome Diego, entrambi hanno servito agli ordini di un re chiamato Sancho ed entrambi hanno conosciuto l’esilio e chiesto a un sovrano spiegazioni sulla morte di un altro sovrano. Ma i collegamenti, per quanto deliberati, non sono l’aspetto più importante del romanzo. Richiamano alla mente precise situazioni nel lettore che conosce quegli eventi, e in qualche modo risuonano nella mente donando alla storia una maggiore profondità, ma il richiamo è semplicemente un richiamo. Kay rimodella gli eventi a suo piacimento, modifica i fatti, comprime o dilata i tempi, non per nulla la sua terra si chiama Al-Rassan invece che Spagna. Però, proprio perché Al-Rassan è così simile alla Spagna, la storia che racconta ne esce rafforzata. Noi sappiamo che gli arabi hanno invaso la parte meridionale della Spagna, sappiamo – anche chi non conosce i dettagli – che alla fine i musulmani sono stati ricacciati indietro, conosciamo l’odio feroce fra queste due popolazioni, tre se aggiungiamo gli ebrei che spesso loro malgrado si sono trovati nel mezzo, e non fatichiamo a capire la profondità dei sentimenti di cui Kay ci parla.
Ci sono state mescolanze, alleanze, anche El Cid in un certo momento della sua vita ha combattuto al fianco dei musulmani, ma la ragione della divisione fra le popolazioni, il territorio conteso, sono le stesse nel nostro come nell’altro mondo, in quella terra che la notte viene dolcemente illuminata non da una ma da due lune. Una terra che iniziamo a conoscere in un breve prologo ambientato quindici anni prima rispetto al resto del romanzo, con che Ammar uccide l’ultimo dei califfi di Silvenes. Quando la storia riprende è intrisa di una sottile malinconia per quel mondo pervaso da una fragile bellezza che è ormai scomparso e che non potrà più tornare.
Siamo in un giorno di mercato, una scena tranquilla con un dottore che svolge con competenza il lavoro quotidiano. Di Jehane, della sua religione e della sua storia, personale e della sua famiglia, veniamo a sapere con calma, man mano che la giornata diventa drammatica e gli eventi incalzano. Kay comincia con calma, dà uno sguardo all’ambiente, sembra che curiosi per il gusto di farlo e intanto costruisce un’atmosfera, dà vita ai personaggi, fornisce informazioni vitali quasi inavvertitamente, fino a quando non muta improvvisamente la situazione. Un piccolo spostamento, una manciata di parole, e dove prima c’era calma d’un tratto ci sono guai, spesso così grandi che sembra difficile poterli affrontare. Ed è in questi momenti che ci si accorge all’improvviso di come i personaggi siano diventati vivi e importanti, di come si tremi per loro e a volte ci si trovi a piangerne la perdita.
Come sempre, anche questo romanzo di Kay è basato sui personaggi. La cosa può apparire curiosa sapendo che lo scrittore canadese crea i suoi personaggi dopo aver esplorato il mondo di cui intende narrare, ma forse proprio questo modo di procedere è ciò che li rende tanto vivi perché solo figure come loro potrebbero appartenere così bene alla terra in cui si muovono. Jehane, Ammar e Rodrigo appartengono a tre religioni diverse, a tre mondi diversi, eppure i valori che li accomunano sono gli stessi. Il loro comportamento, le loro emozioni sono veri, intensi e sempre appropriati al momento che stanno vivendo. Anche quando sono tormentati, forse soprattutto quando sono tormentati perché è nelle difficoltà che si misurano davvero le persone. Perché per quanto forti possano essere i legami che li uniscono, a volte i richiami dei mondi a cui appartengono sono semplicemente troppo forti per poter essere ignorati.
Teoricamente The Lions of Al-Rassan è un fantasy, ma lo è quasi solo perché la terra di cui parla è una terra inventata. L’unico elemento magico, legato a un personaggio minore, svolge la sua funzione nella trama in modo non appariscente, ed è guardato con un certo sospetto dai pochi che ne sono a conoscenza. L’atmosfera sembra quella di un romanzo storico, ma il respiro è quello dell’epica con azioni che possono segnare una vita per sempre. Ci sono conflitti fra culture e religioni in queste pagine, diffidenze fra coloro che dovrebbero avere gli stessi interessi, tradimenti, alleanze insospettabili, interessi privati che sopravanzano quelli pubblici, duelli, imboscate, personaggi che vedono sconvolta la loro vita, assassinii, poesia, amore, amicizia, nostalgia per un mondo perduto, decisioni difficili da prendere, fanatismo, tradimenti, guerre, lealtà contrastanti, ingiustizie e atti di grande generosità, odio e speranza, dolore e gioia. È un libro ricco, arricchito ancora di più dalla consapevolezza di quanto sia attuale pur nel suo dichiarato distacco dalla nostra realtà. E se i tre protagonisti si stagliano sugli altri con la loro umana grandiosità anche i cosiddetti comprimari trovano modo di crescere e di cambiare, di sorprendere e di donare emozioni incredibilmente intense. Al di là di qualsiasi catalogazione questo è uno di quei libri che entrano nell’animo del lettore per non andare più via.
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