La prateria era spazzata dal vento del deserto.
Granelli di sabbia le mulinavano addosso, graffiandole il volto. Pasht camminava acquattata fra l’erba alta e fragrante, socchiudendo gli occhi per proteggerli.
Uno straccio di lino logoro era tutto ciò che indossava. In quel momento lo portava avvolto di traverso sul busto e annodato al collo, a formare una sorta di sacca in cui, di volta in volta, infilava le erbe che recideva con le unghie affilate.
I capelli scuri e spettinati la proteggevano dal sole battente.
Era quel momento del giorno in cui l’occhio di Ra, alto nel cielo, allungava il proprio sguardo su tutto il mondo, colorandolo di un giallo così intenso che l’aria tremava e la pelle bruciava.
Pasht distingueva la voce del dio nel fischio del vento fra le canne, il suo odore nell’aria. Sapeva di sole.
Si chinò su uno stelo grassoccio, striato di rosso, e lo strappò dal suolo polveroso con tutta la radice. Lo ripose nel fagotto assieme alle altre erbe appena raccolte. Controllò che ci fossero tutte quelle di cui aveva bisogno e scoprì che ne mancava ancora una. Scrutò nella sterpaglia e la individuò fra un gruppo di piante infestanti, a qualche metro da lei.
Raccolse tutti i boccioli che trovò quindi, soddisfatta, decise di ritornare alla tana.
A poca distanza dall'ingresso della grotta Pasht si arrestò, tesa e in ascolto. La voce del dio era scomparsa. Nel vento ora c’era un articolarsi di suoni… Voci. E odori. L’aria sapeva di sale; di olio rancido; di sudore; di birra.
Si schiacciò nella vegetazione frusciante, rendendosi invisibile. Gli steli secchi le pungevano guance e braccia.
Quando il vento era forte come quel giorno riusciva a trasportare suoni e odori da molto lontano. Attese.
Avvertì delle vibrazioni nel terreno: passi in avvicinamento. Infine vide delle gambe avanzare nel mare d’erba.
Si premette ancor più contro il suolo. Un serpente del grano le strisciò accanto, ignorandola.
Riconobbe dal loro aspetto che erano un gruppo di umani. Era trascorso moltissimo tempo dall'ultima volta che ne aveva visti.
Le passarono davanti, ignari della sua presenza.
Pasht sapeva che i suoni che emettevano erano il loro modo di comunicare. Anche lei aveva usato quel linguaggio quando, da cucciola, aveva vissuto con gli umani.
L’istinto le disse che era meglio non farsi vedere, così aspettò pazientemente che sparissero. Si sentì al sicuro solo quando non avvertì )più il loro odore e le loro voci.
Fece per alzarsi ma un movimento strano nell’erba attrasse la sua attenzione. Pasht si tuffò in avanti e, dopo qualche attimo, riemerse con una grossa lepre fra i denti. La preda si dibatté per fuggire ma subito uno scatto delle mascelle le spezzò il collo.
Felice per quell'inatteso bottino, percorse con ampi balzi i campi selvaggi che ancora la separavano dal rifugio sicuro della grotta.
L’aria all'interno era fresca. Pasht annusò tutte le superfici e constatò con piacere che nessun intruso era penetrato nel suo territorio. Si strofinò contro la roccia color deserto.
Imboccò il cunicolo sulla destra percorrendolo per quasi tutta la lunghezza. Prima di raggiungere il fondo si arrampicò sui macigni che sporgevano dalla parete, si protese verso il punto in cui la pietra gialla diventava soffitto e rimosse la copertura di pelli che rivelavano l’accesso a un secondo ambiente.
S’infilò dentro. Rimise a posto la copertura e strisciò nel passaggio angusto, avanzando su piedi e gomiti.
Durante l’ultimo tratto, la volta cominciò a curvare verso l’alto, permettendole di rimettersi dritta proprio nel punto in cui il cunicolo finiva all'improvviso. La fanciulla balzò senza nemmeno guardare, atterrando qualche metro più in basso in un ampio atrio circolare.
L’ambiente era rischiarato da lampade applicate alle alte colonne, i cui capitelli riproducevano teste di gatto ornate da collari d’oro; anche le orecchie erano fregiate da anelli dello stesso prezioso metallo.
L’aria profumava di incenso e di resine che bruciavano in un braciere ricavato da un buco nel pavimento.
C’era anche un piccolo altare, nella nicchia fra due colonne.
I refoli di fumo si spandevano nella sala, interrotta in fondo da gradini che sparivano nel buio.
Pasht miagolò in quella direzione e subito rispose un coro di miagolii.
La sua famiglia comparve dall'oscurità, felice di rivederla.
Pasht li accolse con versi gioiosi, osservando compiaciuta la moltitudine di code ritte che si riunivano intorno alle sue gambe per darle il bentornato. Lasciò cadere la preda sul pavimento per mostrare loro quanto era stata brava.
I gatti annusarono, a turno. Erano fieri della sua abilità di cacciatrice.
Pasht li lasciò mangiare.
Tolse le erbe dalla sacca e le raggruppò in mazzetti che appese a un filo tirato fra due colonne.
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